Con questa affermazione si apre il film Strade Perdute, settima fatica di David Lynch, datato 1997. Una voce misteriosa comunica al protagonista che Dick Laurent è morto. Ma come? E soprattutto chi è Dick Laurent?
Dopo questa criptica informazione, entriamo in punta di piedi nella vita di Fred Madison (Bill Pullman), sassofonista di successo che si esibisce nei più importanti locali notturni di Los Angeles e di sua moglie Renee (Paticia Arquette). La loro quotidianità verrà stravolta da una serie di situazioni inquietanti, violente e a tratti paranormali. Circostanze che trascenderanno le loro persone, cambiandole, fino a non essere più loro stesse. Ma niente di tutto ciò è come sembra.
Dopo l’insuccesso di Fuoco cammina con me, David Lynch fa passare cinque anni di silenzio per ripresentarsi al pubblico con un film, tanto contorto quanto appassionante. Un noir moderno, arricchito da quell’alone di paranormale che tanto contraddistingue la mano del regista di Missoula.
Non mi piacciono le telecamere, a me piace ricordare le cose come le ricordo io
Strade Perdute come film rompicapo
Il concatenarsi di eventi, scandito da un ritmo sempre più incalzante, trascinerà lo spettatore da un punto all’altro della narrazione. Lo abbandonerà nella confusione, senza bussola e senza una rotta, per tutta la durata del viaggio.
Strade Perdute è una sorta di viaggio di ritorno verso casa, un tema tanto caro a Lynch, ma che in questa occasione viene totalmente destrutturato; fatto a pezzi, frullato e offerto a un sempre più disorientato spettatore. Il quale, con il proseguire del viaggio, si ritrova apparentemente senza un filo conduttore da seguire.
Le chiavi di lettura sono difficili da trovare, ma ci sono; accuratamente nascoste nel buio delle immagini in movimento ricreate dal regista. Un film che, nel suo disordine fatto di salti spazio temporali, di sdoppiamenti di personalità e di personaggi venuti da chi sa dove, lascia comunque entrare un filo di luce. Permettendo al fruitore di trovare, con fatica, una via di fuga.
Nell’estremo Oriente, quando qualcuno è condannato a morte, viene mandato in un luogo da cui non è possibile fuggire.
Le ambientazioni cambiano, rispecchiando, con l’andamento della storia, i tratti dei personaggi che le popolano; quasi modificandosi al volere e ai conflitti degli stessi. La casa di Fred, ad esempio, acquista un grande valore simbolico. Ricalca quello che è l’animo del protagonista: fredda, con molti angoli bui e molti corridoi oscuri.
Anche in questo film, come nel successivo Mulholland Drive, saranno tangibili le atmosfere di una Los Angeles che è l’incarnazione fatta città del contrasto. Luci e ombre, sfarzo e squallore, ricchezza e povertà , ma soprattutto realtà e immaginazione. Proprio con questo film, Lynch, inaugura l’inizio di quella che sarà definita La Trilogia del Sogno, iniziata proprio con Strade Perdute, proseguita con Mulholland Drive e conclusa con INLAND EMPIRE.
Il talento del papà di Twin Peaks, si manifesta ai massimi livelli.
I movimenti della macchina da presa, a volte lenti, a volte psichedelici, accompagnano lo spettatore nel viaggio attraverso i vari piani di narrazione, diventando parte integrante della storia. Come ripetuto in molte occasioni da Lynch stesso, i suoi film sono sequenze di immagini in movimento che narrano una storia, come un insieme di quadri accuratamente composti. Una messa in scena e una composizione impeccabili che vengono arricchiti da una fotografia sublime (curata da Peter Deming).
Strade Perdute vanta una colonna sonora spettacolare composta dal fido Angelo Badalamenti. Le musiche invece, sono affidate ad una schiera di artisti di fama internazionale che farebbe impallidire un festival di musica rock. David Bowie, Lou Reed, Nine Inch Nails, Rammstein, Marilyn Manson e Smashing Pumpkins sono i principali artisti che firmano i brani originali presenti nel film. Marilyn Manson, truccato di tutto punto compare anche in un cameo nelle battute finali della pellicola.
Un film che sancisce un punto di rottura nella carriera dell’artista, ma anche nel mondo Hollywoodiano, dove viene introdotto uno stile di narrazione scomposto e non lineare. Forma per cui chi guarda, vive l’esperienza artistica e onirica dell’autore come in un sogno che viene trasmesso su pellicola. Uno stile che si può definire ormai Lynchiano, paragonabile al famoso nastro di Moebius, dove l’inizio e la fine combaciano, senza sapere quando effettivamente è iniziato e senza sapere se è veramente finito.