10 migliori suites del prog

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Procol Harum – In Held ‘Twas in I

In tempi non sospetti, e cioè già nel 1968, la band di A Whiter Shade of Pale sforna questo esperimento di proto-prog, che logicamente suona molto come un pezzo spirituale-psichedelico, con tanto di sitar e riferimenti al buddhismo.

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Ancora devono arrivare, infatti, le influenze piene della musica classica, e i sapienti tecnicismi di altre band inglesi. Questa composizione è relativamente semplice: barocca ma non ancora progressive, complessa ma non ancora complicata, ricercata ma non ancora cervellotica.

Il titolo è un acrostico: In Held ‘Twas in I sono le cinque parole che iniziano ognuna delle sezioni in cui la composizione è divisa.

 

Caravan – Nine Feet Underground

I Caravan sono una delle band principali della Scena di Canterbury, nota per proporre un progressive/fusion che prestava il fianco al soft jazz.

Per quanto non celebri quanto Pink Floyd o Genesis, i Caravan dimostrano con Nine Feet Underground di non aver nulla da invidiare ai colleghi.

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La canzone è un unico blocco, di cui la gran parte è occupata da assolo su assolo di chitarra, tastiera e fiati vari. Un piccolo gioiello da riscoprire.

Van der Graaf Generator – A Plague of Lighthouse Keepers

Questa lunga e disturbante digressione experimental prog si fa notare non solo per l’eclettismo di cui fa mostra, ma anche per le manipolazioni di studio in essa presenti. Su tutto trionfa la figura di Peter Hammill, leader della band e creatore di quest’opera magniloquente e disturbante che in certi momenti sfiora l’orlo della pazzia (musicale si intende).

Prog 7

Le sezioni della canzone sono state composte e registrate separatamente, e poi unite artificialmente in studio di registrazione. È proprio il carattere artificioso e leggermente anarchico, infatti, ciò che più caratterizza e rende godibile A Plague of Lighthouse Keepers.