“Il male assoluto che distrugge ogni cosa sotto il suo cammino”. Così Cormac McCarthy descrive Chigurh. Un cacciatore definitivo, un profeta della distruzione, emissario – come Grimsrud, ma per certi versi più articolato e profondo di Grimsrud – di un male incancellabile, intrinseco al mondo in cui si muove. Un mondo in cui sa di poter sopravvivere solo diventando un flagello demoniaco, un demone spietato e privo di coscienza umana. Nel romanzo di McCarthy la psicologia di Chigurh è perfettamente delineata in ogni sfaccettatura da dialoghi memorabili – primo su tutti il confronto con la vedova Moss, in cui espone chiaramente per la prima volta la sua visione fatalista e determinista del mondo -, ma che per ragioni di ritmo non potevano trovare spazio nel thriller dei Coen. In quest’ultimo, queste mancanze sono comunque sopperite da un fattore altrettanto potente che il romanzo non potrà mai avere: Javier Bardem – lucidamente folle, lucidamente consapevole del suo ruolo di burattino in un mondo dalle trame incontrollabili. Un’interpretazione da pelle d’oca e, in quell’anno d’oro per il cinema americano che fu il 2007, dovremmo tutti ringraziare l’Academy per averlo inserito nella categoria “Non protagonisti”. Privare dell’Oscar quest’interpretazione sarebbe stato ai limiti del reato, così come quella del personaggio seguente.
Nel romanzo, lo sceriffo Bell identifica Chigurh come una personificazione di Mammona, un demone dalle fattezze di lupo citato nel Vangelo; un demone dedito alla cupidigia, all’avarizia, all’ingordigia, al continuo, sfrenato, insensato accumulo di beni e ricchezze, finanche a soffocarne. Forse Daniel Plainview è ancora più legato di Chigurh a quest’analogia. Un antieroe assoluto, un lupo feroce e assetato di sangue – che non esiterà “a far scorrere” ovunque si muoverà e contro chiunque possa ostacolarlo -, che divorerà progressivamente ogni cosaintorno a lui nella sua selvaggia voglia di arrivare, forse anche la sua umanità. Una parabola rude, estrema, grandiosa, priva di alcuna forma di catarsi: un personaggio memorabile, reso tale anche da un’interpretazione memorabile.
Lo xenomorfo(Alien)
A proposito di divorare, questo è indubbiamente uno dei cattivi più semplici e lineari di questa lista: nessuna particolare turba psicologica, nessun intricata parabola personale. Ciò che lo rende inquietante è la sua aura di invincibilità, la sua assoluta perfezione – come ormai chiaramente esplicitato anche in Alien: Covenant -, e soprattutto un ultimo aspetto che verrà esposto a breve. Lo xenomorfo è l’essere definitivo, capace di togliere all’uomo lo scettro di incontrastato predatore alfa, aggressivo oltre ogni limite; impossibile da controllare, impossibile poterci instaurare un dialogo, e il suo aspetto più terrificante – come già annunciato – è la sua totale inconciliabilità con qualsiasi altra specie. Piazzati in un ecosistema, gli xenomorfi tendono per loro natura ad annullare ogni altra specie – aspetto forse d’ispirazione per la saga videoludica Halo, seppur con le dovute differenze, nell’ideazione dei Flood. Come questi ultimi, rappresentano una sorte di annullamento dell’identità e della diversità, un concetto piuttosto ricorrente nella cultura americana del dopoguerra del cosiddetto maccartismo, di cui rappresentano una delle trasposizioni più efficaci e terrificanti.