Indubbiamente cinico e manipolatore – in lui componente di minor impatto rispetto a Lime poichè privo di affetti veri e sinceri -, che non si fa scrupoli di uccidere chiunque o di tradire i suoi stessi soci e compagni nella sua grande volontà di arrivare, di affermarsi, di restare al mondo… senza capire che, a differenza di Lime, lui non appartiene più a questo mondo. Appartiene a un’altra epoca, un’altra società, dove il diritto di dominio non era fondato su influenze economiche e politiche, ma sulla mera forza bruta, sulla maestria con le armi, sull’abilità di uccidere “materialmente” i propri rivali – società non necessariamente migliore o peggiore, sia chiaro, ma semplicemente diversa. Come Morton e lo stesso Armonica gli ripetono durante il film, lui non potrà mai districarsi abilmente in questo gioco come sa fare Lime, pur essendo così simile a lui: appartiene a un’altra specie di uomini, con un’altra forma mentis, un’identità con cui si riconcilia pienamente, consapevolmente, durante il leggendario duello con Armonica.
Keyser Söze(I soliti sospetti)
Si cambia completamente registro. Un cattivo inquietante per una sua sola caratteristica: l’essere come un fantasma. Impossibile da materializzare, sfuggente, intangibile, eppure reale, tremendamente reale, con le sue azioni che si ripercuotono in continuazione nelle vite dei protagonisti, gli unici elementi che possono far loro capire di non avere davanti un vero e proprio fantasma. Forse un demonio. La leggenda che il film gli costruisce intorno, unita alla sua ambiguità perennemente mantenuta nel corso della narrazione, almeno fino alla “soluzione finale”, sembrano proprio concorrere alla creazione di un nemico insondabile, invincibile, inattaccabile. In grado di vedere chiunque altro come una mera pedina nel suo scacchiere, sacrificabile e utilizzabile a suo piacimento. Una componente quest’ultima che capirete subito come sia ancora più preponderante nel prossimo personaggio.
Un “cattivo” sicuramente impersonale, reso tale solo dalla sua continua opposizione principalmente ad Antonius Block, ma indirettamente anche a tutti gli altri personaggi della narrazione – persino al cinico e disincantato Jöns. La sua presenza aleggia su tutte le piccole e più o meno miserabili vite che si accavallano, intrecciano, svaniscono nel corso della vicenda, come un fine ultimo ineluttabile, un “nemico” di queste vite assolutamente ineliminabile e inaffrontabile, contro cui ogni uomo è impotente e atterrito. Pur essendo “personificato” da Bergman, non perde mai nelle sue sporadiche apparizioni quell’aura di assoluta invincibilità, di vero tessitore e padrone di ogni pezzo della scacchiera. Di Kasparov contro cui sarà impossibile vincere una partita. Proprio perchè, che tu ne sia consapevole o meno, sei tu stesso uno dei suoi pezzi.
Michael Corleone(Trilogia del Padrino)
Parlando di Roy Batty era stato contratto un debito con voi a proposito dell’eroe tragico. Ecco, Micheal Corleone è il perfetto eroe tragico di questa lista: brillante studente universitario, vincolato agli “affari di famiglia” da nulla più che il proprio sangue, vi si ritrova invischiato per una serie di circostanze anche al di fuori della sua volontà, scalandone i vertici con violenza e crudeltà necessarie per il mondo che intende dominare. Un’escalation sanguinaria che porterà la sua famiglia realmente ai vertici, ma solo temporaneamente, come ogni cosa in questo mondo: l’illusione di poterla proteggere da quella stessa violenza, di potersene tirare indietro senza alcun pegno da pagare, ne segneranno l’inevitabile sconfitta. Il grande padrino, un tempo rispettato e temuto, muore solo e abbandonato come un cane. Vanitas vanitatum et omnia vanitas. Se non è tragico un personaggio così…
I precedenti cattivi, chi più chi meno, sono caratterizzati da un profilo psicologico articolato, o da alcune caratteristiche che li rendono, inevitabilmente, delle vere nemesi all’interno della narrazione. Gaear Grimsrud non ha nessuna di queste caratteristiche. La sua violenza cieca, gratuita e incontrollata è priva di qualsiasi fine utile, di qualsiasi senso, spesso deleteria anche a lui stesso, impossibile da inquadrare e razionalizzare. Sembra l’essenza della banalità del male, della stupidità del male, di quella violenza che in Kurtz, in Lecter, in tanti altri personaggi precedenti è consapevole, tastata con mano, e che invece in lui risulta assolutamente alla deriva, fuori controllo. Un male fine a se stesso e inconsapevole di se stesso, di fronte a cui non si può che restare allibiti, proprio perché non se ne vede il fine utile. Un figura i cui temi vengono fortemente rafforzati, potenziati a dismisura, nel terrificante personaggio seguente.