Sono passati tredici anni da quell’album Funeral, con il quale gli Arcade Fire entrarono fin da subito nella storia della musica. Testi profondi, analitici, psicologici, che espletavano tutte le difficoltà della vita relazionale nella società moderna.
Cinque album dopo il discorso è sempre lo stesso, ma molto più conciso e dettagliato. Everything Now, pubblicato lo scorso 28 luglio, rappresenta per gli Arcade Fire il punto più alto della carriera.
Questo è infatti l’album nel quale la band canadese è finalmente riuscita a scartare tutti gli elementi superflui del proprio stile musicale e a sintetizzare solo quelle parti necessarie ad esprimere esattamente ciò che vogliono esprimere. Diciamocelo, le fisarmoniche sono belle ma dopo un pò fanno molto sagra della pannocchia.
É impossibile con questo disco non pensare al mondo in cui viviamo oggi. Tutto va detto subito, in fretta, nel modo più efficace e chiaro possibile. E questo è proprio quello che Everything Now fa, cercando nel contempo però di scongiurare questo mito del “tutto ed ora”.
Everything Now, così come compare nel videoclip dell’omonima canzone, pare infatti il logo di un’azienda, una specie di mostro industriale capace di soddisfare i bisogni di tutti nel minor tempo possibile (e pensiamoci: gli acquisti on-line, i voli low-cost). Ma, come canta Régine Chassagne nella canzone Creature Comfort:
On and on I don’t know what I want/On and on I don’t know if I want it.
È logico che quando puoi avere tutto, non sai cosa volere. E allora, come ricorda Signs of Life:
Looking for signs of life/Looking for signs every night/But there’s no signs of life/So we do it again.
Ci si sfoga cercando di sentirsi vivi in tutti i modi, ma senza riuscirci.
Insomma, Everything Now è uno spaccato della vita così come la conosciamo oggi. Veloce, insensate, ripetitiva, insicura. Ed ogni canzone è un capitolo che ne ricostruisce l’analisi.
Ha perfettamente senso, poi, che il disco più completo degli Arcade Fire sia anche il loro più commerciale, cosa che ha fatto storcere il naso a molti critici. Sintetizzatori, beat elettronici post-disco e new wave revival, chitarre funk e Thomas Bangalter dei Daft Punk tra i produttori. Tutti elementi che disertano le radici fieramente “indie” del gruppo.
Ma nell’epoca dei messaggi subitanei e degli slogan urlati a gran voce su Facebook, forse è proprio questo genere di album, un grande compromesso artistico, quello che più può riuscire ad esprimere ciò molti di noi pensano, e non riescono però a ritrovare nei lavori dei gruppi più radicali.
Il futuro è in questa direzione. A chi non si può integrare non rimane che (sempre in Creature Comfort):
Assisted suicide/She dreams about dying all the time/She told me she came so close/Filled up the bathtub and put on our first record.