La Teoria del Tutto, o i sentimenti dietro la scienza – Recensione

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Per rimanere in tema vintage dei film del 2014, La Scimmia vi parla oggi de La teoria del tutto (The Theory of Everything), diretto da James Marsh sulla vita del grande scienziato Stephen Hawking. Interpretato da Eddie Redmayne (The Danish GirlI miserabili) l’attore britannico si aggiudicò per il ruolo il Premio Oscar nel 2015.

Sulla scia delle biografie che hanno affollato le sale cinematografiche negli ultimi anni, quella di Marsh si sofferma sul grande astrofisico, matematico e cosmologo britannico che, dopo anni di sue apparizioni reali (Big Bang Theory) o caricaturiali (I Simpson) in tv, anche il pubblico più profano  ha imparato a conoscere. Tuttavia, anche uscito di sala, neanche questa volta il pubblico ha comunque avuto ben chiaro che idee quest’uomo di scienza abbia davvero avuto.

Malgrado la malattia del motoneurone che da anni lo ha confinato alla sedia a rotelle da cui comunica tramite un sintetizzatore vocale, Stephen Hawking è il fautore di teorie rivoluzionarie come la radiazione termica emessa dai buchi neri (La radiazione di Hawking); la teoria cosmologica sull’inizio senza confini dell’universo (quella che viene tratteggiata nel film), e l’elaborazione di numerose teorie fisiche e astronomiche con altri scienziati, come la formazione ed evoluzione galattica. Hawking ha occupato per quasi trent’anni la cattedra lucasiana di matematica a Cambridge e nel 2009 Obama lo ha insignito della Medaglia presidenziale della libertà, la più alta onorificenza degli Stati Uniti.

La sceneggiatura di The Theory of Everything, firmata da Anthony McCarten, è l’adattamento del libro di Jane Wilde, ora ex signora Hawking, Travelling to Infinity: My Life with Stephen. Il film, costato, oltre ai 15 milioni di dollari e tre anni di lavoro con l’autrice, è un ritratto a scopi monumentale di Hawking.

Nella pellicola, Felicity Jones (The amazing Spiderman 2) e Eddie Redmayne sono i protagonisti di una vicenda che poco ha a che fare con la scienza e molto col cuore. La Jane innamorata di Hawking della Jones appare delicata come un fiore e forte come l’acciaio, Eddie Redmayne dona infinita dolcezza e dignità alla figura del geniale scienziato.

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Il film ruota intorno alla loro storia d’amore, nata nel periodo giovanile di Cambridge e proseguita fino alla separazione nel 1990. Così dal primo incontro, con un Hawking in ottima forma che corre e pedala, fino all’addio dalla seria a rotelle parlante, è di amore e solo di amore che si parla.

Nel 1963, nella prestigiosa università di Cambridge, il promettente laureando in fisica Stephen è un fervido appassionato di cosmologia, “la religione per atei intelligenti”, quando incontra la religiosa Jane Wilde, studentessa di lingue romanze. È amore a prima vista: iniziano una relazione dolce e innocente che ben presto affronta la tempesta di una malattia neurodegenerativa.

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Jane non lo abbandona e si immola sull’altare dell’amore sacro aiutando Stephen a mangiare e a togliersi il maglione, mentre lui cambia la storia della scienza e tenta di elaborare una singola equazione significante che riesca a spiegare l’universo.

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Della sua folgorante carriera di intellettuale apprendiamo bene poco, mentre è della malattia e della storia della sua famiglia che il regista preferisce ricostruire la formula: la dedizione di Jane è straordinaria e dura negli anni, fino all’incontro con un altro uomo che contribuirà al suo allontanamento. Anche dopo la separazione però, Jane e Stephen restano amici affezionati ed è alla corte della regina d’Inghilterra che hanno modo di dare uno sguardo d’insieme a tutto ciò che sono riusciti a creare.

Il titolo del film potrebbe allora risultare uno specchietto per allodole per i fisici e matematici che accorrono in sala, rivelandosi più una storia intrisa di lacrime e sentimenti, che di universo e scienza. Le frasi promozionali del film recitavano: “The incredible story of Jane and Stephen Hawking” e “His mind changed our world. Her love changed his”. Frasi cariche di emotività, ma banali. Delle premesse, l’unica parte che vediamo rappresentata sullo schermo è “her love changed his (mind)”, come in ogni grande storia d’amore.

Ancora una volta molto bello, ma l’iniziale “incredible story” decantata, viene meno; meglio ancora, è incredibile quanta forza l’amore possa trasmettere, ma è vero anche che la storia di Hawking è purtroppo simile a quella di milioni di malati di SLA, che non hanno un film ad omaggiarli, ma “solo” l’affetto di quanti sono loro accanto.

Se l’intento non era comunque dare un taglio scientifico, sicuramente meno appetibile o tanto meno comprensibile per il 90% degli spettatori, il regista avrebbe potuto almeno concedere una riflessione in più alla condizione dei malati di sclerosi laterale amiotrofica, di cui Hawking è un legittimo rappresentante. Il film però non mira a parlare di tanti disabili, ma di uno solo, l’unico che abbia teorizzato i buchi neri e la nascita dell’universo, ma ancora nella prospettiva dell’uomo malato e amato, l’unico senso in cui emerge nel film l’aggettivo “straordinario”.

The theory of everything è allora un film che omaggia la vita personale di uno scienziato  geniale, ma che avrebbe potuto essere tranquillamente proiettato sullo schermo di casa Hawking a scopo domestico. 

Omaggiare un genio più in quanto disabile che genio, lascia comunque il messaggio che anche la situazione peggiore può essere affrontata, messaggio che nella sua positività induce a non condannare in toto il tentativo di Marsh.

Accettato il punto di vista del regista dunque, il film è un meraviglioso ed edificante ritratto di amore e sentimenti, correlato da pianti e strette al cuore, peccato solo che la carne sia debole. Ecco allora la bravissima Jones cadere tra le braccia del gentile capo coro della chiesa, dopo quasi un’ora di sguardi dolci e sfiorate di mano pudiche.

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Così, come in tutte le relazioni più comuni, l’amore tra Jane e Stephen  viene meno quando viene meno la comunicazione, letteralmente: costretto ad esprimersi con una lavagnetta e poi con un computer dallo spiccato accento americano, Jane non è più in grado di parlare la stessa lingua del marito, cosa che riesce invece all’infermiera che subentra ad assisterlo.

La teoria del tutto recensione

Un argomento forse degno di approfondimento sarebbe stato il diverso rapporto con la religione che marito e moglie intrattengono: se inizialmente lo scienziato ha un piccolo problema con la premessa della dittatura celeste, alla loro ultima conversazione come coppia, si lascia quasi intendere che Stephen non abbia scartato del tutto l’idea di Dio.

Nella commuovente scena finale, in cui Hawking immagina di alzarsi dalla sedia su cui è confinato durante una conferenza, assistiamo ad una risposta che riassume i 123 minuti di film:

Ospite:“Professor Hawking, lei ha detto di non credere in Dio… Ha una filosofia di vita che la aiuta?

Stephen:

 

E’ chiaro che noi siamo solo una razza evoluta di primati su un pianeta minore, che orbita intorno ad una stella di medie dimensioni nell’estrema periferia di una fra cento miliardi di galassie… Ma fin dall’alba della civiltà, l’uomo si è sempre sforzato di arrivare alla comprensione dell’ordine che regola il mondo. Dovrebbe esserci qualcosa di molto speciale nelle condizioni ai confini dell’universo. E cosa può essere più speciale dell’assenza di confini? Non dovrebbero esserci confini agli sforzi umani. Noi siamo tutti diversi, per quanto brutta possa sembrarci la vita, c’è sempre qualcosa che uno può fare e con successo. Perché finché c’è vita… c’è speranza!

Insomma, The theory of everything è un omaggio a Stephen, più che a Hawking, all’uomo affetto da una malattia rara, più che allo scienziato brillante e unico nel suo talento, ma anche alla donna Jane, alla sua forza, al suo coraggio e, di nuovo, all’amore che tutto può e tutto fa.

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Dopo una profusione di lacrime e riflessioni involontarie sulle incredibili difficoltà che una malattia limitante come quella descritta procuri nella vita delle persone, il film  di Marsh non poteva che lasciare con un messaggio come “finchè c’è vita c’è speranza: speriamo allora che la singola equazione significante che spiega l’universo sia davvero l’amore, perché, almeno al cinema, a rappresentare questo sentimento sono davvero tutti dei geni.