RECENSIONE BIUTIFUL – Non ci sono più le ellissi temporali di 21 grammi, nemmeno la tipica destrutturazione cronologica. Iñárritu abbandona il passato e costruisce una storia lineare. Una profonda storia lineare. Una storia di morte che caratterizza Uxbal e il suo trascinarsi giorno dopo giorno nel sostentamento per i suoi figli, Mateo e Ana. Avuti da una donna con problemi mentali che la rendono aggressiva e quindi incapace di essere madre. Biutiful ripropone ancora una volta il tema della morte, tanto caro al regista messicano, che con questo suo quarto film si consacra definitivamente. Un lungo racconto straziante che ci descrive la vita di Javier Bardem, vincitore a Cannes come miglior attore (ex aequo con Elio Germano).
Biutiful, la recensione del film di Alejandro Iñárritu
"Come si scrive 'beautiful'?" "Così come si pronuncia"
RECENSIONE BIUTIFUL – Nei panni di Uxbal, Javier Bardem è un uomo che si trova a stretto contatto con la morte. Presente dentro lui sotto forma di un cancro devastante, presente in lui come sensitivo, Uxbal arrotonda il suo “stipendio” di protettore dei venditori ambulanti, facendo anche da tramite tra i defunti ed i loro familiari. La sua vita cambia drasticamente quando gli viene scoperto un cancro che gli darà ancora pochi mesi di vita.
Proprio di fronte alla morte, che sembra quasi voler reclamare ciò che le appartiene, Uxbal cambierà la sua visione della vita.
Il pensiero fisso ricade sui due piccoli figli, sulle famiglie dei suoi “dipendenti” abusivi ed ambulanti in balia del nulla. A far da cornice, la periferia vuota e marcia di Barcellona. Un lato oscuro della metropoli che attraverso di lui si inserisce, come una metastasi, nella parte bene della città. E l’accecante luce in fondo al tunnel della morte si fa sempre più nitida.
RECENSIONE BIUTIFUL – Iñárritu propone di nuovo una storia di morte che però non sublima nella vita come in 21 grammi. Biutiful racconta il percorso di rendenzione di un uomo solo e solitario, una lunga riflessione che ci accompagnerà per tutto il film. La camera non abbandona mai Uxbal; lo segue e lo indaga, rispecchiando le sue sensazioni ed emozioni. Senza mai cadere nel disperato vittimismo, Uxbal mantiene una dignità quasi inumana di fronte alla fine certa.
Le dicotomie sono onnipresenti e funzionali alla sublimazione del personaggio, quasi biblico, che attraversa questi ultimi istanti della sua vita come un novello martire in procinto di essere tale. Emblematico a tal proposito, il gioco di luci e ombre che caratterizza il film sin dalla prima sequenza che anticipa la fine del percorso di Uxbal. Un percorso di redenzione che nasce dall’amore incodizionato per quei due suoi figli che rischieranno di essere soli senza aver compiuto ancora i quattordici anni. Redimersi per loro, organizzargli il futuro garantendogli tutto ciò di cui hanno bisogno. Solo così potrà finalmente essere in pace con sé stesso. Il buio, il nero, presente in un essere umano che si innalza verso la luce della redenzione, pur rimanendo ben saldo al suo infame destino.