I migliori film del 2014 secondo la Scimmia (in ordine di gradimento)

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5) Interstellar, di Christopher Nolan

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In un futuro prossimo, le condizioni del pianeta Terra non garantiranno la vita umana. Un team di esploratori intraprende un viaggio spaziale per scoprire se esistono reali alternative. Sarà una guerra contro lo spaziotempo e una battaglia alla ricerca dell’amore.

Esistono pellicole che o le ami o le odi e Interstellar è sicuramente una di queste. Basato sul trattato scientifico del fisico Kip Thorne, Interstellar è un film del 2014 diretto da Christopher Nolan. Inizialmente proposta alla Paramount con la regia di Steven Spielberg, la pellicola, affidata poi a Nolan, ha destato non poche polemiche tra gli appassionati del regista di Inception, Memento e The Prestige, solo per citare alcuni tra i suoi prodotti di successo.

Interstellar, infatti, segna una vera e propria frattura nel cinema di Nolan, che sin dagli anni ’90 ha sempre seguito una scuola cinematografica intricata, complessa e impegnativa, senza scadere mai nel colossal fantascientifico o thriller, che bada più alla forma che al contenuto. Il cinema di Christopher Nolan è teatro dell’introspezione psicologica di personaggi tormentati e vendicativi e di tematiche quali l’ossessione e l’inganno.

Con Interstellar, invece, il regista si mantiene costantemente sul filo del rasoio, tra la predisposizione a cadere nel dramma e le abbozzate parabole ucronistiche e spaziali. A primo impatto, la pellicola di Nolan sembra parte di un genere catastrofico, che migliora progredendo in fantascientifico e d’avventura e che infine si rivela drammatico.

Quattro generi in uno che spiazzano gli abituali del cinema di Nolan e li allontanano dal concept di eroe nella trilogia de Il cavaliere oscuro e dallo stile imbrogliato, che finisce sempre per sciogliersi coerentemente, delle altre pellicole. Con questo film, il regista sembra lanciarsi in un progetto pionieristico riuscito egregiamente per alcuni e tremendamente bocciato per altri.

Christopher Nolan si evolve e produce una pellicola dalla trama eccezionalmente lineare per il suo cinema. Per la sua realizzazione, inoltre, si avvale dell’ausilio di pellicole particolari, che espandono gli spazi dell’inquadratura, garantendo maggiore aria.

Il cast di Interstellar è formato da Matthew McConaughey, Anne Hathaway, Jessica Chastain, Michael Caine, Matt Damon e Casey Affleck, tutti attori celebri del panorama hollywoodiano, che tuttavia non spiccano in questa pellicola, che difatti non li premia.

Più fortunate saranno le considerazioni dei critici per l’impegno tecnico messo in Interstellar, tanto che il film di Nolan si porterà a casa quattro candidature ai premi Oscar (miglior scenografia, miglior colonna sonora, miglior sonoro, miglior montaggio sonoro) e una vittoria (migliori effetti speciali).

Interstellar è una di quelle pellicole vittime del giudizio dei critici del cinema d’autore, che non riescono a gestire i mutamenti e le evoluzioni degli stili registici: rimane un film prettamente drammatico con uno sfondo fantascientifico gradevole e a tratti davvero emozionante.

(a cura di Clarissa Cusimano)

4) The Gran Budapest Hotel, di Wes Anderson

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Tutti i protagonisti di The Gran Budapest Hotel

Wes Anderson, attraverso il suo cinema, ricorda un po’ quei grandi autori della fiaba, capaci, come lui, di infondere alle loro storie un’anima peculiare ed eterna. Se con Fantastic Mr.Fox, Anderson riuscì a rinnovare ed innalzare a gloria l’antichissimo genere della favola, con i suoi film in “azione dal vero” sembra costruire intorno allo spettatore un mondo incantato, sospeso, appunto fiabesco.

Eppure non c’è la magia nel cinema di Wes Anderson, non esistono fate, maghi, orchi, re e regine. Il grande regista texano non è propriamente un Perrault, un Grimm, un Basile o un Andersen, ma da questi grandi scrittori ha preso in prestito il senso della meraviglia, l’iniziale disincanto dei protagonisti, i percorsi tortuosi che questi devono affrontare, la tragedia vestita di magnificenza, la dolcezza, la crudeltà, il sacrificio e come ovvio che sia, i colori.

Anderson prende questi archetipi e li colloca nella realtà, ove quest’ultima, come tutti noi ben sappiamo, è terribile ed austera, ma coeva di meraviglie e colori per chi la sa guardare attraverso occhi pronti a farsi stupire. Probabilmente, l’opera di Anderson che ha in sé la maggioranza di queste caratteristiche è The Gran Budapest Hotel, pellicola capace di trasmettere il dolore di due guerre mondiali, della tirannia dei nazionalismi, pur presentandosi come un immenso quadro colorato con pastelli forti e decisi. Non si odia nessun personaggio di The Gran Budapest Hotel –così come negli altri film del regista– nello stesso modo in cui non si odia la matrigna di Biancaneve che ci appare fragile nella sua solitudine, o la strega de La Bella Addormentata che ci commuove con il suo dolore per il mancato invito a corte. Apprezziamo il carattere buono dell’ispettore Henckels (Edward Norton) pur notandone la mancanza di spirito dovuto al suo essere militare; perdoniamo la ferocia del killer J.G. Jopling (un grottesco Willem Defoe) poiché notiamo una certa stoltezza nel suo essere; siamo disposti, alla fine del film, a perdonare anche il viziato e viscido erede Dmitri Desgoffe und Taxis (Adam Brody), riconoscendoci nello sguardo di sconfitta e rassegnazione o, ancor di più, nella sua stonata goffaggine.

Il sentimento umano che ci lega agli antagonisti diventa amore puro per i protagonisti. Monsieur Gustave H (un meraviglioso Ralph Fiennes), Zero Moustafa (Tony Revolori/F. Murray Abraham), la pura Agatha (Saoirse Ronan), si fanno amare totalmente, rafforzando il profondo senso d’umanità di cui l’intero film è intriso. Lo spettatore si ritrova in un vortice colorato, in un universo costellato di personaggi bizzarri e che in fondo vogliono solo rappresentare le molteplici esistenze di “questo barbaro mattatoio un tempo noto come umanità”. Il tutto condito da una storia frenetica, coinvolgente e per nulla scontata, con una messinscena che ricorda eleganti giocattoli (Il modellino del Gran Budapest sembra una stupefacente case delle bambole) e curatissimi libri per bambini, e una colonna sonora che conferma, ancora una volta, il talento cristallino di Alexandre Desplat. Una pellicola ancora giovane che può essere già definita un capolavoro epocale. Wes Anderson è capace di parlare al bambino che vive nell’adulto e all’adulto che vive nel bambino, proprio come nelle migliori fiabe.

(a cura di Luca Varriale)