I migliori film del 2014 secondo la Scimmia (in ordine di gradimento)

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9) Maps to the Stars, David Cronenberg (2014)

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Una pungente “satira” sullo star system di Hollywood, fulcro del mondo del Cinema. In questo quadro bestiale in cui si festeggia la morte di un bambino, Cronenberg porta in superficie l’escalation della persona dietro il personaggio, le anime corruttibili del jet set più famoso al mondo.

Un bambino prodigio tossicomane e sua sorella. Il padre (John Cusack), un famoso guru dell’ambiente, ha come cliente assidua una spiazzante Julianne Moore, di una bravura quasi imbarazzante e che si vanta del Gran Prix d’interprétation féminine ottenuto a Cannes, nei panni di Havana Segrand, una viziosa e disperata attrice ormai poco ricercata.

Una dark comedy/drama o anche, a detta del regista, un grottesco documentario sui generis, che rimanda velatamente alle figure oniriche lynchane e alle atmosfere della Sunset Boulevard di Wilder ma che lascia intendere la sua autoritaria matrice cronenberghiana: la mutazione, la morte, il deforme, ustioni, cicatrici, pillole ed incesti.

La mappa delle star è la rappresentazione del nauseante orrore mondano dove anche l’ingenuo candore della giovinezza è rovinato da questa American dream Factory che paradossalmente potrebbe purificarsi con il fuoco di Agatha, unico superstite dell’inferno cronenberghiano in cui si assolvono solo simulacri svuotati d’onore e decenza (“Hollywood brucia”).

(a cura di Elisa Pala)

8) Vizio di Forma, di Paul Thomas Anderson

maxresdefault 9“Nell’ambito delle polizze assicurative marittime, per “vizio di forma” si intende tutto ciò che non può essere assicurato in quanto impossibile da evitare, come le uova che si rompono, la cioccolata che si scioglie, un bicchiere che si frantuma“. 

Doc si chiede cosa significhi quando applicato alle vecchie ex. In un certo senso il sunto di tutto il film.

Larry “Doc” Sportello, protagonista del romanzo omonimo di Thomas Pynchon da cui è tratto il film, è un investigatore privato. Un giorno ricompare nella sua vita Shasta, una donna con la quale ha avuto una relazione. La donna gli chiede di svolgere un’indagine per suo conto, riguardo Mickey Wolfmann, amante di lei. Questo pretesto catapulterà Doc in un vortice allucinatorio in cui verranno a galla intrighi e complotti riguardanti il microcosmo della città di Los Angeles.

Paul Thomas Anderson, con il suo settimo film, genera una pellicola neo-noir perennemente in bilico tra il dramma e la commedia; adattando il romanzo di Pynchon frase per frase. Anderson attinge notevolmente dal panorama letterario e cinematografico poliziesco, mettendo in scena la tipica figura del detective privato che in un certo senso per amore o nostalgia, indaga per conto di una donna. Un investigatore che si ritrova coinvolto suo malgrado in situazioni più grandi di lui, dalle quali riesce ad uscire con non poche difficoltà. Scoprendo una serie di verità che faranno emergere complotti assai più intricati.

Anderson ricrea un film ben studiato e lavorato, fin nei particolari, in grado di generare l’atmosfera surreale ed immersiva degli anni ’70 e della generazione hippie. “Vizio di forma” è un film assurdo, allucinante, che si fatica a seguire. La difficoltà è data dall’aura stessa e dalla costruzione che sembra verterà sull’uso delle droghe, il cui boom appunto negli anni ’70.  Atmosfera amplificata dallo stato dello stesso protagonista, perennemente sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Per cui lo spettacolo che prende vita davanti gli occhi dello spettatore è lo stesso che vede Doc, al quale capitano cose assurde ai limiti del kafkiano. Una contestualizzazione che rende ancora più complicata la già difficile di per sé trama, costruita su più livelli e binari narrativi convergenti. Fornendo all’opera una dimensione onirica, grottesca e psichedelica. 

Anderson si dimostra essere uno dei registi più eclettici e talentuosi della sua generazione, seppur in una delle sue opere meno apprezzabili. “Vizio di forma” è una pellicola dal fascino magnetico e ipnotico, capace di allucinare lo spettatore, attraendo enormemente per gli aspetti tecnici e narrativi. Lo spettatore seppur non in grado di cogliere pienamente lo sviluppo, non potrà che rimanere affascinato per il lavoro del regista.  

(a cura di Aurelio Fattorusso)