Il crimine non paga, o forse sì nel caso di Goodfellas (stasera alle 21 su Iris). Il dubbio rimane, ma la travolgente storia di mafia diretta da Martin Scorsese paga sicuramente in termini artistici.
Una storia di passioni e violenze che racconta una vita e la scalata al successo nel mondo dei gangster; il tutto accompagnato da uno stile virtuoso già riconoscibile in Mean Streets e che rese Scorsese celebre. Una sceneggiatura scritta a 4 mani da Scorsese e da Nicholas Pileggi, l’autore di Wiseguy, il libro a cui si ispira la storia.
La vera storia di Henry Hill, un ragazzo mezzo irlandese e mezzo siciliano cresciuto nelle strade di Brooklyn con un’unica ambizione, diventare un goodfella. Interpretato da Ray Liotta, Hill cominciò a lavorare per la mafia sin da ragazzo, rubando e vedendo merce rubata. Ma dopo una vita di eccessi, lusso sfrenato e ossessione per l’essere qualcuno, Hill dovette entrare nel programma testimoni, denunciando i suoi ex compagni di malefatte ed evitando così di essere freddato dagli stessi.
È un film spietato quello raccontato da Scorsese, dove Liotta sembra essere l’unico uomo capace di conservare quella minima parte di bontà presente nel nome dei goodfellas. Non commette omicidi ma ne è sempre coinvolto, così come in tutti gli altri loschi affari.
Il suo desiderio di essere un gangster non è mosso da un amore per la violenza o da una particolare abilità nel commetterla; ma semplicemente dalla ricerca di una vita fatta di sfarzi e rispetto.
E come dice l’Henry del film: “La mia ambizione era essere un gangster… per me essere un mafioso era meglio di essere presidente… essere un mafioso voleva dire possedere il mondo.”
Questi “bravi ragazzi” di quartiere ottengono infatti tutto quello che desiderano: soldi, donne, rispetto e privilegi. Sfoggiano completi di lusso, sono trattati come re nei migliori club e godono nel poter spendere il loro tempo libero in un esclusivo mondo dei sogni, fatto di piaceri e istinti animaleschi. Viene da chiedersi perché mai Henry non debba desiderare di sedersi ad un tavolo che offre simili opportunità.
Un tavolo dove Henry conosce James Conway, Tommy DeVito e il boss Paul Cicero rispettivamente interpretati da Robert De Niro, Joe Pesci e Paul Sorvino. Dei perfetti e spaventosi gangster preceduti dalla loro fama.
Ma questi brutti ceffi non spaventano Henry, lo esaltano. Questa ammirazione è basata sul punto focale che contraddistingue tutto il film, l’assenza di colpa. Scorsese rimuove genialmente il rimorso dal crimine organizzato, lasciando che l’assenza di colpa pesi enormemente sul film.
I personaggi agiscono infatti seguendo i loro impulsi, senza alcuna preoccupazione delle conseguenze e arricchendosi con il minimo sforzo. Diventa quasi comica, ma senza cadere nel ridicolo, la soddisfazione maniacale con cui godono dei loro guadagni disonesti.
Scorsese crea un mondo affascinante, dove non esiste il peccato e tutto è permesso ai suoi personaggi.
Henry approfitta di questa situazione, ma solo per il desiderio di una vita sfrenata. Il fantastico piano sequenza qui sotto ne è la conferma. Una discesa in un mondo fatto di luci e piaceri, un sogno per cui Hill ha venduto la sua anima.
Una meraviglia tecnica in cui Scorsese rende chiare le motivazioni che guidano il personaggio, in parte opposte a quelle dei suoi amici. Tommy DeVito è infatti la perfetta incarnazione della violenza e dell’irragionevolezza che guidano la malavita.
Joe Pesci indossa così le vesti di uno spietato e paranoico piccoletto ossessionato dal bisogno di dimostrare il suo potere. Un personaggio che vive per la violenza, capace di pestare a sangue un ristoratore innocente in una scena trasformata in slapstick brutale. Una sensazionale interpretazione degna di un Oscar; e pensare che inizialmente non doveva nemmeno interpretare il personaggio.
Infatti Scorsese lo considerava troppo vecchio per il ruolo, ma Pesci lo convinse a cambiare idea, come rivelato in questo talk show.
Altrettanto grandiose, ma forse come tutte le interpretazioni della pellicola, sono le prove fornite da Robert De Niro e Lorraine Bracco. Un gangster meticoloso e capace ed una moglie leale e trascurata come Karen. Quest’ultima rappresenta il nostro sguardo su quel mondo incomprensibile, da cui prima viene stregata e poi inesorabilmente risucchiata, come tutti gli altri.
Scorsese crea un poema di ambizioni distorte, una sottocultura mafiosa che esplora l’essere gangster come un fenomeno sociale; concentrandosi sui comportamenti, sul linguaggio, sulla moralità e sulle modalità d’affari di questi moderni ladri eleganti.
Ma il film rimane in parte buffo. “Buffo, come?“ chiede giustamente Tommy; è un essere buffo legato alla comicità stessa della scena. Una comicità ipocrita e aggressiva capace di regalare un tocco di humor nero al film. Un’arguta conferma da parte di Scorsese di possedere il genere, regalandoci uno dei migliori film sulla mafia insieme a Il Padrino.