David Fincher al suo sesto lungometraggio cambia totalmente registro e torna riscrivendo il genere thriller dei film sui serial killer. A differenza dei vari trascorsi cinematografici (come nell’acclamato Se7even) qui il regista non ci immerge nell’ennesima caccia all’assassino, e difatti nel film rimane solamente una misteriosa presenza invisibile sullo sfondo dello schermo. La pellicola, di stampo quasi documentaristico, si racconta invece attraverso gli occhi del gruppo di personaggi coinvolti nella meticolosa e inestricabile ricerca dell’assassino, che persiste anno dopo anno attraverso indagini complesse e piste che poi si riveleranno false, cosparse di codici ed enigmi, divenendo infine un ossessione che logorerà le loro vite. Il grande cast vede tra i protagonisti Mark Ruffalo nelle vesti del frustrato Toschi, un detective che indaga sugli omicidi commessi da Zodiac, arrivando vicinissimo alla soluzione del caso prima di essere definitivamente allontano dalle indagini con la conseguente perdita della carriera. Poi abbiamo il poliedrico Robert Graysmith (Jake Gyllenhall), un giovane vignettista appassionato di codici ed enigmi, ed infine il giornalista del San Francisco Chronicle,Paul Avery (Robert Downey Jr.). Il trio di protagonisti spicca con quelle che sono tra le migliori interpretazioni della loro carriera, l’alchimia tra i tre rende ancora più memorabili le scene nelle quali li vediamo interagire nei loro ragionamenti ad alta voce, approfondendone le caratteristiche e sviluppandoli gradualmente nel corso della storia.
La sceneggiatura è scritta da James Vanderbilt, tratta dal libro di Graysmith, e riporta dettagliatamente su pellicola le lunghe e interminabili indagini sul caso, ma anche i fatti di cronaca reali e i rapporti di polizia che riguardavano il killer, dandogli un autenticità storica unica. Vanderbilt lesse i libri di Zodiac alle superiori (nel 1986) rimanendone totalmente ossessionato. Dopo aver incontrato l’autore, James inizia a documentarsi ascoltando le testimonianze dei superstiti, attraverso trasmissioni, programmi radio, libri e infine con il cinema (l’assassino si è infatti ispirato ad un film intitolato The Most Dangerous Game). Persino le lettere personali di Zodiac inviate alle varie testate giornalistiche furono analizzate nuovamente da un famoso linguista. Per ovvie ragioni la sceneggiatura fu ridimensionata per poter rientrare nei 158′ minuti, omettendo la storia riguardante le vittime, ma compensando questa mancanza con delle enormi e dettagliate sequenze sugli omicidi, riportate maniacalmente su schermo da Fincher. Zodiac sotto il profilo tecnico è indubbiamente una delle migliori pellicole del regista, gli sforzi fatti per rappresentare fedelmente la San Francisco del 1970 attraverso la CGI sono pazzeschi. Impossibile non rimanere affascinati dalle inquadrature panoramiche mozzafiato del Golden Gate coperto dalla nebbia o dalla visione in time-lapse della costruzione del Transamerica Pyramid, il grattacielo più alto di San Francisco. Memorabile anche la sequenza dove vediamo riprendere dall’alto un taxi mentre percorre le strade e i vicoli della città, anch’essi ricostruiti in CGI, la videocamera segue il veicolo avanzando piano piano verso di esso e avvicinando gradualmente l’occhio impotente dello spettatore fino al momento nel quale avverrà l’omicidio. Il film ha segnato un’enorme cambiamento nella carriera di Fincher, poiché l’uso perfetto della ripresa digitale e il lavoro in post-produzione sono stati in grado di migliorare ulteriormente il proprio stile cinematografico, influenzando visivamente film futuri come The Social Network o Gone Girl.