Millennium – Uomini che odiano le donne è ispirato al primo della trilogia Millennium di Stieg Larsson, noto autore svedese, conosciuto per la sua lotta in prima linea contro il razzismo e gli estremismi di destra, tematiche che sono alla base dei suoi libri e ovviamente della pellicola di Fincher.
Svezia 2006, Mikael Blomkvist (Daniel Craig) è un giornalista quarantenne che dirige con Erika Berger la rivista Millenniumche tratta degli scandali e delle truffe del mondo politico ed imprenditoriale. Dopo aver perso una causa viene denunciato per diffamazione. Mikael viene ingaggiato da Henrik Vanger (Christopher Plummer) un ricco industriale che vuole far luce sulla scomparsa della sua pronipote Harriet che crede sia stata uccisa da uno dei suoi familiari nel 1966. Due delle prove più importanti sono una foto di Harriet intimorita di fronte ad un uomo ignoto e un codice di cifre e nomi di donne (redatti in modo apparentemente casuale) degli appunti personali di Harriet; interpretandoli come versetti del Levitico, Mikael decifra dei metodi di tortura per donne peccatrici, e collega una di queste torture al modus operandi di un brutale omicidio avvenuto diciassette anni prima. Per aiutarlo nelle sue indagini a Mikael viene affiancata una giovane hacker investigatrice Lisbeth Salander (Rooney Mara) dal carattere riservato e sotto interdizione legale.
L’opera è un ottimo adattamento del libro, lo stile Fincheriano infatti che insiste sula morale individuale e patologica condizione di smarrimento interiore dell’individuo nella società contemporanea si adatta perfettamente alle tematiche e a ciò che Larsson scrive nei suoi libri. Un’ottima pellicola, che dalle musiche alla fotografia è riuscita perfettamente a trasportare lo spettatore al suo interno; ma soprattutto grazie ai personaggi e agli attori che li hanno magistralmente interpretati, raramente la trasposizione cinematografica di un libro riesce a soddisfare e rendere giustizia ai protagonisti che ogni lettore immagina e su cui fantastica, ma l’intero cast riesce pienamente in questo compito, in particolare Rooney Mara che per il ruolo di Lisbeth Salander coi suoi svariati piercing (quattro in ogni lobo e in sopracciglio, narice, labbro e capezzoli) per una maggiore immedesimazione ha deciso in scena d’indossarne esemplari veri anziché falsi.
Meg (Jodie Foster) acquista una casa dotata di una stanza blindatissima, dove andrà a vivere con sua figlia Sarah (una giovanissima Kristen Stewart). L’azione inizierà quando Meg si accorgerà, attraverso il sistema di telecamere di videosorveglianza, della presenza di tre rapinatori (tra cui un esagitato Jared Leto), incosci anch’essi della presenza di qualcuno all’interno della casa. Uno dei tre rapinatori è il nipote del precedente proprietario ormai deceduto, da cui è venuto a conoscenza di una cassaforte all’interno della stanza blindata. Ma Meg e Sarah si nasconderanno proprio lì..
Se alcune pellicole concentrano sull’intreccio la propria forza, il thriller claustrofobico di David Fincher valorizza il piccolo ambiente con un’impeccabile regia. Famosissimo il suo “falso” piano sequenza: la peculiarità di questo piano è la coesione tra tecnologia analogica e tecnologia digitale, tra immagine e immaginario, tra movimento e impressione di movimento. La macchina da presa ci accompagna tra i diversi piani della casa (grazie ai dolly, dei carrelli progettati da tecnici cinematografici durante “L’età d’oro Hollywoodiana“), per poi proiettarci dentro una lampada accesa e all’interno delle serrature: una struttura che pone uno sguardo irreale ed innaturale all’interno di un circuito basato sul tradizionale ordinamento del cinema classico.