Orizzonti di Gloria, Il Dottor Stranamore e Full Metal Jacket: sono i tre film in cui viene rispecchiata l’idea di guerra di Kubrick. Un’idea si oserebbe dire gioconda, a volte vista da parte dei soldati a volte vista da parte dei potenti, ed interpretata come se fosse una partita di scacchi in cui i primi sono le pedine e i politici sono i giocatori, esterni e immuni alla lotta.
Full Metal Jacketè ambientato durante la guerra del Vietnam ed è diviso in due parti: la prima si svolge a Parris Island, dove i soldati dell’esercito americano sono addestrati per diventare macchine e killer. La seconda è invece ambientata ad Hue, dove avviene lo scontro con i vietcong. Questa parte è rappresentata invece come più labirintica e rende perfettamente l’idea del caos della mente dei soldati. Proprio quel caos contrasta con il fatto che secondo il regista trasformare gli uomini in macchine è possibile. A riguardo egli affermerà ‘ Sì, trasformare esseri umani in armi è possibile. Come dice il sergente nel mio film: “Un’arma è solo un utensile, è il cuore duro che uccide” ’. In Full Metal Jacketi soldati hanno la finalità di distruggere la paura della morte e per distruggere questa è necessario distruggere prima la loro personalità.
Si vede già nella primissima scena quando i giovani vengono tutti quanti rasati a zero dal barbiere; questo è il primo elemento del processo di meccanizzazione necessario per eguagliare i ragazzi, ognuno reso una sorta di “clone” dell’altro; infatti il barbiere militare “opera” sulle loro teste, come per presagire quel lavaggio del cervello al quale verranno sottoposti in seguito.
Joker è il soldato che sfugge a questo processo e fallisce proprio perché è l’unico in cui ancora regna un briciolo di umanità.
Un altro elemento che rende la pellicola diversa dalle altre è che il regista ci pone davanti nel film è che i soldati conoscono la guerra, grazie ai mass media infatti ne hanno sentito parlare e hanno visto anche immagini. Loro la conoscono e, differentemente dai soldati della prima guerra mondiale, sanno a cosa vanno incontro. Animal mother ad un certo punto domanda a Joker se lui avesse mai visto il fronte e Joker risponde ‘Accidenti se l’ho visto: in televisione!’ I riferimenti al cinema, soprattutto western, sono fittissimi: più e più volte Joker imita e cita John Wayne, la guerra contro i vietcong sembra quasi una guerra contro gli indiani. Fu proprio durante la guerra del Vietnam che i primi giornalisti trasmettevano alle emittenti straniere tutto quello che avveniva. Kubrick nella seconda parte del film ci parla della battaglia di Hue, che vide l’esercito vietnamita e i vietcong impegnati contro le forse U.S.A.. Kubrick riguardo a questo dichiarerà ”Il Vietnam è stata forse la prima guerra gestita come avrebbe potuto farlo un’agenzia pubblicitaria. Furono effettuate stime dei costi effettivi, statistiche false e previsioni irrazionali e autoingannatorie secondo le quali la vittoria sarebbe stata la luce alla fine di un tunnel”.
Ed infine è Joker a far emergere ancora il tema della guerra-gioco. È infatti ripreso da un ufficiale perché porta sulla divisa il distintivo pacifista e invece sull’elmetto la scritta ‘Born To Kill’. Egli risponde quasi con ironia spiegando che va ad indicare la dualità dell’animo umano, per indicare il suo lato ribelle e il suo lato severo, che sa sottostare al gioco dell’istituzione militare.
Ed è questa infatti la differenza tra i film: se ne Il dottor Stranamore e in Orizzonti di Gloria la follia della guerra era dovuta all’orgoglio e all’ambizione personale dei generali militari, in FMJ si basa essenzialmente sul tentativo del soldato Joker -o dei soldati in generale- di restare sani in un ambiente folle.
Il film termina con la regressione dei soldati allo stato infantile: i marines intonano La marcia di Topolino che accompagna infatti la scena finale.
“L’esercito affiora come struttura rigida e asettica, impersonale, funzionale; (…) una struttura violenta, costruzione ossessivamente minuziosa finalizzata alla distruzione e psicologicamente distruttrice e autodistruttrice di se stessa” (Ruggero Eugeni).