Sono come sono, come dovrei essere. Sono come loro, come vorrei essere.
– Cinico –
Monchi di elementi portanti come Gigi Giancursi (chitarra) ed Elena Diani (violoncello), i Perturbazione chiamano in loro soccorso la produzione di Tommaso Colliva, produttore di Afterhours, Muse e altri grandi nomi della scena italiana e internazionale. La band piemontese ne esce quasi snaturata in alcuni pezzi, specie quelli maggiormente intaccati dall’utilizzo spinto dell’elettronica, elemento semi sconosciuto prima di Musica X, il penultimo album. Se tralasciamo qualche passo falso in brani che suonano più filler, che figli di ispirazione – su tutti Everest con, ahimè, un Ghemon un po’ fuoriluogo, non certo ovunque, ma qui senz’altro – l’album nel complesso è un lavoro tutto sommato riuscito.
La semplicità dei testi di Tommaso Cerasuolo non scade quasi mai nella banalità, salvo rari casi.
E allora ecco che Cara rubrica del cuore, con questo arrangiamento dolce, simile a una nenia, e un testo splendidamente interpretato anche da Andrea Mirò, è una piccola perla che impreziosisce l’album. Rende con ingenuità e dura dolcezza lo squallore di un amore surrogato nato su internet. L’acme viene raggiunto con il pezzo successivo, Cinico. Cerasuolo incastona tra batterie pop dance un testo introspettivo con il quale smaschera le difficoltà dell’uomo a vivere coerentemente il suo sentire e, allo stesso tempo, restare fedele a ciò che da lui ci si aspetta.
Il riassunto dell’album sta proprio nel ritornello del pezzo, già ripreso a inizio pagina.
Essì, perchè dai Perturbazione ci si aspetta In circolo o Del nostro tempo rubato, testi ironici, semplici ed evocativi su basi delicate e coinvolgenti. Va detto che certamente Le storie che ci raccontiamo non raggiunge i livelli dei sopracitati, ma dev’essere letto, a mio avviso, come un ponte, un piccolo passaggio tra un vecchia dimensione ed una nuova. Le crisi sono sempre traumatiche, e l’uscita dal gruppo di chitarrista e violoncellista ha messo chiaramente a dura prova tutto la band, ma una stroncatura totale dell’album, come molte testate hanno fatto, non la trovo corretta. Ecco perchè lo metto tra le migliori uscite. Le storie che ci raccontiamo è il mio ponte per il loro prossimo album. Sperando che uscirà. E che si prendano tutto il tempo necessario.
Giunto al quarto lavoro in carriera, il rapper emiliano Murubutu (aka Alessio Mariani) sforna quello che può essere considerato, senza paura di smentita, uno dei migliori album del 2016 per quanto riguarda il panorama italiano.
Parliamoci chiaramente: L’uomo che viaggiava nel vento non è il classico album rap a cui purtroppo ci stiamo abituando. Non contiene tormentoni estivi ricamati ad hoc per il passaggio in radio, e soprattutto non è composto da rime paracule ad opera di giovinastri cazzari, più preoccupati del passaparola tra i social che alla composizione vera e propria.
Lo storytelling del professor Mariani è denso,profondo,curato. Ogni traccia è una storia, collegata alle altre da un soffio di brezza, una bufera, un turbinio di vento. Il vento, tema principale dell’album, mutevole e inarrestabile. Con la partecipazione di nomi del calibro di Ghemon e Dargen D’amico, Murubutu plasma il vento nella forma di tredici brani. Tredici racconti letterari, racchiusi in 3/4 minuti di musica, che raccontano di mondi ed epoche differenti. Un disco da sentire e risentire in ogni sua sfumatura, consigliato non solo agli amanti del genere, ma a chiunque voglia ascoltare buona musica.
