3. Thelonious Monk – Brilliant Corners (1957)
Con questo album il pianista Thelonious Monk inventa lo stile post-bop, che non è ancora free jazz ma non è neanche più semplice hard bop. Lo stile di Monk, uno dei jazzisti più influenti di sempre, è essenziale e diretto.
Le sue melodie sono invadenti, esacerbate, ed occupano tutto lo spazio che possono. Monk agisce cercando momenti particolari, atmosfere inquiete, note astruse che seguono percorsi inusuali. Le sue dita suonano poco, si esprimono con accordi suonati in blocco o pochi tocchi su scale appena accennate.
Brilliant Corners è un disco bizzarro, che suona alle volte ebbro, alle volte inquietante, con molti esperimenti inseriti tra le righe. Lo prova la prima traccia, la title track, e lo prova Ba-Lue Bolivar Ba-Lues-Are, che oltre a ricordare la canzone di Crudelia De Mon (scusate ma è quasi uguale), sembra un inno cantato a una festa da un gruppo di ubriachi.
Segue Pannonica, una canzone dall’energia quasi magica, che trasporta e stupisce l’ascoltatore con la propria delicatezza. Pannonica è il fulcro del disco, una composizione di enorme valore, come una perla rara.
Anche le altre tracce non sono da meno: I Surrender Dear, un numero in solitaria al piano che in seguito è diventato uno standard, reinterpretato innumerevoli volte; ed il rag circense di Bemsha Swing.
Thelonious Monk è un musicista sofisticato, e quando suona sembra quasi che abbia paura di causare dolore al pianoforte. Le sue composizioni sono leggendarie, disinvoltamente geniali e di altissima qualità.