I 9 film più deludenti del 2017 fino ad ora secondo la Scimmia
In realtà in molti si aspettavano davvero poco da Valerian, ma bisogna anche ammettere che presentandosi come la più costosa produzione del cinema francese (quasi 200 milioni di euro) Valerian aveva fatto venire l’acquolina in bocca a tanti cinefili amanti della fantascienza; complice un trailer altamente visionario cullato dalla splendida Because dei Beatles. Invece si tratta di un’altra occasione sprecata da Luc Besson. Senza andare troppo indietro nella sua filmografia, ricordiamo il mediocre Lucy, capace di esaltare nei primi 20 minuti, tanto quanto di annoiare nel resto della pellicola. Adesso è il turno di Valerian, che, seppur in misura minore, ricalca le gesta della pellicola precedente.
Besson fa le cose in grande, sfoderando una CGI di primissima qualità, ma è difficile offrire qualcosa di veramente nuovo sotto un punto di vista tecnico nel mercato odierno. Ciò che Besson ha di meglio da offrire sono le idee: tante, buone, a volte geniali, sicuramente mal amalgamate. La scena del mercato multidimesionale, unitamente a quella della corsa attraverso la stazione spaziale, sono davvero godibili. Cara Delevigne e Dane Dehaan sono adatti ai personaggi ma sembrano i personaggi ad essere inadatti al film, sia per la poco credibile storia d’amore che li lega, sia per le battute e i bisticci demodè.
Valerian mostra al principio un bel ritmo, dalla trama incalzante e divertente, ma poi diventa vittima della propria semplicità. Il destino della storia, del cattivo di turno, e dei due agenti spaziali si svela da metà film. Spetta così ad un noioso filler, degno dei più commerciali anime, allungare il brodo con balletti di Rihanna e mostri poco interessanti; appesantendo la narrazione ed arenandola per una buona mezzora. Quando il film riparte ormai il ritmo è svanito e con esso l’interesse.
Peccato perché con una seceneggiatura più snella ed un intreccio meno telefonato Valerian poteva essere davvero un film dal discreto intrattenimento. Delusione su delusione: la prova di Clive Owen è davvero insignificante: personaggio fantoccio.
(a cura di Lapo Maranghi)
2) Ghost in the Shell, di Rupert Sanders
Ghost in the Shell è un involucro realizzato sapientemente, ma privo di ogni sostanza e sapore. Sterile e vuoto come il mondo in cui è ambientato, quest’opera fornisce una storia priva di mordente e che non è in grado di raccontare l’uomo, o in questo caso la donna, protagonista di tutte le vicende. I troppi cliché narrativi e gli innumerevoli rallenty, non permettono a quest’opera di decollare, rendendo questo Ghost in the Shell un film uguale a tanti altri usciti negli ultimi anni. Seppur il comparto tecnico fornisca un’ottima fotografia ed un’interessante uso della computer grafica, la pellicola non riesce ugualmente a convincere lo spettatore più esigente. A cui non basta vedere una bellissima Scarlet Johansson in azione per essere soddisfatto.
Chiunque pretenda un minimo di sviluppo dei personaggi e una trama ben congegnata, si ritrova immancabilmente deluso da questa pellicola, che tende a prendere con troppa leggerezza una trama profonda e ricca di significati. L’America torna nuovamente a snaturare un’opera che non gli appartiene. Privata della propria essenza e data in pasto al pubblico, come se fosse privo di pretese ed in grado di bearsi di tutto; anche del vuoto esteticamente appagante per gli occhi.
(a cura di Davide Roveda)