Gli uomini veramente grandi mi pare che debbano provare in questo mondo una gran tristezza.
Fëdor Dostoevskij, Delitto e Castigo
Gli uomini veramente grandi mi pare che debbano provare in questo mondo una gran tristezza.
Fëdor Dostoevskij, Delitto e Castigo
A distanza di due anni dalla sua uscita nel natale del 2015, la Scimmia vi propone la recensione di qualcosa che, assieme a quel pranzo della vigilia, ancora non abbiamo completamente digerito: la quarantaquattresima fatica di Woody Allen, Irrational Man. Una fatica, perché questa è stata l’ora e mezza trascorsa in compagnia di Abe Lucas e Jilla Pollard.
Nella più perfetta cornice di un bel college del Road Island si dipana la vicenda dello stanco ed esistenzialista professore di filosofia che ammalia con il fascino dell’eterno incompreso la sua studentessa più promettente.
Troppo brillante per amare ancora la vita e lontano dallo stupore e dall’ingenua freschezza rappresentati dalla giovane Jilla, Abe Lucas troverà un senso alla propria esistenza con un atto di scelta radicale, un omicidio, che pur restituendogli un perchè e una certa ispirazione, tuttavia lo scinderà dal resto degli uomini e dalla morale comune.
Joaquin Phoenix e Emma Stone sono certamente consoni ai loro ruoli e non deludono le rispettive aspettative del filosofo cinico e della studentessa curiosa e intelligente; eppure, l’intera impalcatura ideologica alle loro spalle è chiaramente l’ennesima ripetizione del regista più nevrotico del panorama a hollywoodiano.
La vita è priva di senso, il caos è l’unica costante, il cinismo è il sale della vita, “la filosofia è un atto di masturbazione verbale” (cit. anche in Io e Annie) e ci sarà sempre un uomo più furbo di tutti a spiegarci quanto sia futile, ai fini dell’universo, il nostro svegliarci ogni mattina.
Presa questa intuizione Allen l’ha vivisezionata, smembrata, riadattata ad ogni possibile genere di film nell’arco di oltre un trentennio; Irrational Man ne è solo la creatura più evidente e per questo meno riuscita.
Se ad esempio in Basta che funzioni (2009) dall’incontro del geniale misantropo Boris Yellnikoff con la puerile e ingenua Melodie St. Ann Celestine emergono dialoghi brillanti e divertenti, in Irrational Man Allen ha preso lo stesso personaggio (o il suo ennesimo alter ego), gli ha aggiunto 15kg e tolto 30 anni, innalzando poi la musa ispiratrice del risveglio del genio (o almeno così crede di essere lei) alla medesima levatura intellettuale di questi.
Il risultato è tuttavia un film piatto, privo di pathos anche nei momenti di svolta, come quando Abe Lucas prende la decisione di uccidere un giudice iniquo per rendere giustizia ad una sconosciuta origliata in una tavola calda.
Non c’è emozione, non c’è incanto né struggimento, solo un’affannata ricerca di senso di un uomo che si proclama morale, vuole attuare la filosofia Nietzsche, ma si rivela un pò sciocco nella sua degenerazione e non all’altezza dell’ideale di Superuomo che tenta di emulare.
Prive di approfondimento, le frequenti citazioni filosofiche del film che spaziano da Kant a Sartre, risultano lezioni vuote, divulgate senza lo spessore proprio di quei pensatori, appiattite alla loro spiegazione più elementare e utile allo scopo del film e al piacere del volgo.
Il messaggio del film è: la vita, specie per gli uomini di grande sensibilità, è un deserto di noia al cui interno domina tiranna la casualità che, come un uragano, dal nulla arriva a spazzare via quei barlumi di senso, quelle tracce trovate nella sabbia che sembravano aprire una via d’uscita dal deserto.
Grazie Irrational Man per averci illuminato.
Tanti dunque i filosofi impropriamente espropriati e rivenduti nelle loro citazioni più argute, totalmente decontestualizzati, ma sopra a tutti emerge nuovamente e più ingiustamente Dostoevskij, che da qualche anno è il nuovo pupazzo snodabile del regista e parte integrante della sua intuizione iniziale.
Mentre il film procedeva verso il compimento dell’omicidio, la speranza che non sarebbe stato messo in mezzo anche lui veniva infatti meno. Quel suo povero Delitto e Castigo è ormai l’escamotage intellettuale più facile e commercializzato del panorama hollywoodiano: il concetto dell’uomo che travalica i tradizionali parametri morali in nome di uno scopo superiore è tanto caro ad Allen, che se ne è servito in maniera certo più degna in film come Crimini e Misfatti (1989) o Match Point (2005), ma che ha qui miseramente fallito.
Il travaglio interiore, le cause etiche e le conseguenze psicologiche implicate nell’assassinio commesso da Lucas, sono trattate con la fastidiosa leggerezza della commedia più commerciale, dimostrando (se fosse stato necessario) che non ogni tema è trattabile con il sarcasmo di Hollywood.
Ibrido mal riuscito a metà tra commedia e thriller, Irrational Man è dunque un’appropriazione indebita di una certa filosofia, quella esistenzialista, ma anche di quella nietzschiana, da parte di un artista che con il tempo ha perso l’originalità (e la lucidità?) ma non la cocciuta testardaggine di chi pensa di aver avuto l’intuizione del secolo.
Senza mai rinnovarsi, Allen snocciola un film dopo l’altro alla ricerca di un senso che non c’è e che non trova e che pare persino aver smesso di cercare, preferendo altresì la nevrotica ripetizione delle stesse macchiette, quasi nella speranza che sarà il senso della vita a trovarlo.
Più che della dottrina del Superuomo nietzschiano, Woody Allen sembra insomma aver girato un film sulla dottrina dell’eterno ritorno e del sempre uguale.