Vi ricordate l’edizione del Tomorrowland del 2012 in cui calcavano la consolle nomi come Bloody Beetroots, Skrillex, Afrojack, Steve Aoki, Fatboy Slim e tanti altri ben più blasonati? Noi si e con un po’ di nostalgia.
Da allora son passati 7 anni e diversi Animals di turno che hanno sconvolto quella scena detta Electro, panorama che in quegli anni ha visto una luce enorme brillargli attorno.
Adesso tutto si è ridotto ad EDM, acronimo di Electronic Dance Music.
Ovvio, come tutte le cose di questo mondo, anche la musica si evolve, muta a tutto tondo senza prevedibilità e con un andamento del tutto aleatorio. O almeno così dovrebbe essere.
Sicuramente il mondo legato alle dancehall sta vivendo un periodo di particolare correlazione all’economico lemma domanda-offerta: l’audience diventa più ‘tonta’ (passate il termine) e l’industria genera qualcosa di semplice e orecchiabile. Tale trend si nota orizzontalmente su tutto quello che il mainstream ci riversa addosso: dal pop al rock, dal rap all’EDM, persino la musica classica vede una discesa di stile in onore del marketing.
Ora, perdonate la digressione sui massimi sistemi ma era necessaria per capire perché viene da dire che l’ Electro è morta. O quantomeno per porsi un fondato dubbio.
Bene, tornando al focus principale: l’ Electro.
Ok, diciamo che l’ Electro, è stato quel genere di musica che ha convinto tanti non-clubber ad entrare in un club non soltanto con il mero obiettivo di sbronzarsi un po’ e magari guardare qualche bell’esemplare di essere-umano-femminile-in-abiti-succinti-agitare-le-chiappe-sul-cubo.
Fino a quel momento il loro mondo è sempre stato quello della musica ‘tradizionale’: chitarre, basso, voce, batteria e quant’altro ma tutto quanto suonato on-the-fly. Ovviamente non deve mancare un certo spessore tecnico-ritmico in grado di intrigare il loro orecchio e cervello da musicisti incalliti. Perché si sa, se suoni uno strumento l’attenzione al virtuosismo diventa una componente rilevante per la valutazione soggettiva di quello che si ascolta.
Generalizzando, si può affermare con un certo livello di confidenza che il loro mondo spaziava dal hard-rock al funky con forte presenza di metal e qualche spruzzo di musica classica e jazz. La musica elettronica era catalogata come un offesa all’intelligenza di un musicista: 4/4 pari, cassa dritta, ostinato in battere ogni singolo ottavo che quel cristo chiamato producer aveva deciso di infilare dentro alla traccia. Neanche si ponevano il problema della difficoltà tecnica di costruire una traccia del genere in quanto la totale mancanza di groove li faceva skippare dopo, tipo, 33 secondi di ascolto.
Poi la svolta. ELECTRO.
Tonnellate di groove, bassi cattivi e distorti con la pressione sonora di un boeing 747 in decollo. Schitarrate ignoranti. Build up infiniti. Lead synth con armonizzazioni complesse ed arpeggiatori sincopati.
Due nomi su tutti hanno infervorato la scena da allora: The Bloody Beetroots e Justice.
E da quel momento si era creata la connessione mancante per aprire la porta all’universo della musica elettronica, intesa in senso lato ed ampio, a chi al club preferiva la sala concerti buia e diroccata.
Da circa il 2010 fino al 2014 questo movimento ha visto puntato addosso i riflettori degli eventi più importanti, facendo da spalla ai generi più blasonati quali house e techno. C’era la possibilità di ballare qualcosa che, finalmente, non fosse solo una cassa dritta e qualche synth qua e là. Artisti come Cyberpunkers, MRKRFT, FeedMe, FarTooLoud, DeadMau5 vennero alla luce, lanciati come una catapulta in vetta alle billboard mondiali. Perfino David Guetta aveva rilasciato un album ben più complesso del suo solito (Nothing but the Beat – Disc 2 Delux) . Alcuni artisti storici tornarono alla ribalta, come rinati (Daft Punk e Fatboyslim giusto per citarne un paio), ed i nuovi iniziarono sperimentazioni sempre più audaci: i Bloody Beetroots presentarono il loro live show ‘Church Of Noise’ ed i Justice sperimentavano con djset ibridi sulla falsa riga dei DarfPunk di Alive 2007.
Insomma, c’era aria di cambiamento. La gente voleva scatenarsi un po’ più del solito e molti di quelli che manco ci pensavano vi si tuffarono con tutte le scarpe.
Poi come tutte le cose, l’ondata si è ritirata. Il pubblico si è ri-acquattato su sonorità meno complesse ed è tornata alla normalità. Magari il sound è mutato leggermente verso un mondo più distorto ma a discapito di complessità ritmiche e groove.
L’esempio lampante: Martin Garrix con Animals e tutti gli altri figli delle principali major.
Zero novità e ritmi orecchiabili. Un’estate e la ruota gira. Avanti un altro.
Per la fortuna di chi ancora ci spera c’è gente come Justice, Bloody Beetrots, Daft Punk, Black Tiger Sex Machine. Mescolando rock e metal ai suoni tipici dell’elettronica, danno quel ché di violenza tale da far pogare anche nei migliori club del mondo.