L’IMPATTO Rischi, sempre. Morti, tanti. Il più grave incidente della storia, anno 1955, in pieno rettilineo d’arrivo. La Mercedes di Pierre Levegh che vola in tribuna, tra la folla: 83 spettatori uccisi, oltre al pilota; 120 feriti. (Giorgio Terruzzi, parlando della 24 Ore di Le Mans sul n.211 di GQ)
Come ogni feticismo che si rispetti, anche quello che NWR ha per la violenza risulta più eccitante di qualunque esperienza sessuale o di mazzate. Il motivo? Non ci interessa, così come non interessa al danese. La cosa che più si rivela degna di nota è il fascino che il regista ha saputo creare per la violenza nei suoi lavori. Drive, in tal senso, ne è il perfetto esempio. Facciamo un passo indietro. Da Bronson, NWR ha cominciato a realizzare film basandosi su cosa gli sarebbe piaciuto vedere, senza prendere spunto dalla realtà , come invece era accaduto con i Pusher. Ecco allora che tutti i feticismi del regista (violenza compresa) si sono liberati. La violenza già era presente nei lavori precedenti al 2008, ma erano semplici botte, quasi casuali, niente di maggiormente articolato. Per capire il concetto, basta confrontare il prefinale di Pusher 3 (2005) con la scena dell’ascensore di Drive.
In questo piece of filmmaking, come direbbero gli americani, è la cura per le immagini a rendere la visione superlativa: niente inquadrature mosse, stavolta tutto è calcolato al millimetro, come vuole il nuovo stile refniano (Valhalla Rising escluso). E, proprio come un feticismo irrompe improvvisamente nella vita di un bambino in prepubertà , anche la violenza efferata arriva senza preavviso di fronte ai nostri occhi. E tutto non è mai stato così sexy.