Fresco vincitore della Palma d’Oro a Cannes con l’acclamatissimo Parasite(qui la nostra recensione), Bong Joon-ho è il regista coreano che forse più di tutti è riuscito a far breccia nel cuore del pubblico occidentale odierno.
Dopo il successo di The Hoste gli ottimi riscontri ottenuti con il suo primo film in lingua inglese, Snowpiercer, l’autore lancia un nuovo progetto prodotto da Plan B Entertainment distribuito da Netflix: Okja.
Nonostante alcuni intuizioni visive e alcuni momenti divertenti, il film fallisce nel suo intento primario. Quella che voleva essere una velenosa satira del capitalismo cattivo e delle sue strategie comunicative, si determina invece come un’opera fin troppo elementare, fastidiosamente intrappolata in una dialettica eccessivamente stereotipata.
Ad un livello prettamente superficiale, Okja è un film che può colpire: è infatti impossibile non empatizzare con la piccola Mija e il suo super maiale. I più sensibili si ritroveranno sicuramente a tifare per loro contro la malcelata malvagità del capitalismo.
Il problema è che spostando questo velo emozionale, ci troviamo davanti ad una satira esasperata ed abusata, ricca di simbolismi banali e mai veramente incisiva. Avvinghiato nella sua stessa creatura, Bonh Joon-ho non riesce ad affondare il colpo, donandoci un’opera anonima che non sa bene dove andare a parare. Un vero peccato.
Insomnia, Christopher Nolan(2002)
“La trottola si ferma o no?”
Remake di un omonimo film norvegese, Insomnia è probabilmente il punto più basso della carriera di Christopher Nolan. Dopo l’ottimo Memento, Nolan torna a buttarsi nel thriller senza riuscire a replicarne il risultato finale. Nonostante la sua abilità nel creare e mantenere la tensione, il regista resta intrappolato in una sceneggiatura non all’altezza.
Il film è sostanzialmente scisso in due: se da una parte è apprezzabile il racconto del deterioramento psicologico del protagonista attraverso la regia, progressivamente sempre più convulsa e sconnessa, dall’altra il thriller non offre particolari slanci.
I crocevia tipici del genere risultano spesso forzati, guidati da coincidenze fin troppo facilone. Nolan è abile nel costruire la tensione, aiutato anche da una location, l’Alaska, che è parte integrante del racconto: non contorno ma vera linfa vitale per la narrazione.
Purtroppo la pochezza delle svolte narrative rende la costruzione visiva futile, a tratti fine a se stessa: un’ottima prova di stile che si scorda di mettersi al servizio del genere che sta raccontando.
Un film scisso e sospeso, un giro di trottola dagli esiti incerti.