Veniamo ora, come si intuisce dal titolo, alla rappresentazione della storia di Lewis Carroll: Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie. Burton si affida ad un cast numeroso e pieno di volti promettenti: l’ovvio Johnny Deep, AnnaHathaway, l’ovvia e obbligatoria Helena Bonham Carter, Mia Wasiskowska.
Tutti conosciamo la vita della piccola Alice, finita in un mondo confuso e naif. Nel film di Burton, tutto ciò si traduce in un eccesso di colori e confusione quasi nauseabondo.
É frequente, nei film del regista, la costruzione di universi fantasiosi ed eccentrici, ma qui tutto è portato all’eccesso. L’uso smisurato degli effetti speciali salta immediatamente all’occhio: i volti degli attori sono talvolta irriconoscibili e stravolti dalla CGI, un vero pasticcio.
La storia, che doveva essere l’unica cosa solida del progetto, viene stravolta: Alice ha ormai diciannove anni e sta tornando per la secondavolta nel regno magico. Siamo sicuri che Lewis si sta rivoltando nella tomba.
A Los Angeles, in uno stravagante hotel, vivono personaggi davvero singolari: un agente di polizia (Mel Gibson) vi indagherà per un caso di omicidio.
Scritto da Nicholas Klein, da un soggetto dello stesso e di Bono Vox (il frontman degli U2), il film di Wenders è una storia patetica, melensa e soporifera. Il regista tedesco si intestardisce nel voler essere poetico a tutti i costi, finendo per diventare l’ombra di sè stesso.
La poesia non va oltre qualche ‘frase da Bacio Perugina’. Un Gibson spaesato e confuso non salva il film e a peggiorare le cose ci si mette Bono, autore della mediocre colonna sonora. Molto meglio l’ultimo Wenders documentarista. Il film fu inspiegabilmente e generosamente premiato con l’Orsod’argento a Berlino (Gran Premio della Giuria).