È una vita cinematografica quella che sognano molti giovani che vogliono fare rap. C’è Scarface nel cuore, quel Tony Montana partito dal nulla che diventa in breve tempo temuto e rispettato da chiunque gli si avvicini. Ma gli esempi da seguire sono anche altri, ragazzi che il rap già lo fanno: Sfera Ebbasta, Izi, Laïoung, artisti che fino a pochi anni (o mesi) fa non erano che semplici appassionati, poveri economicamente, poco interessati alla scuola, e in testa solo l’idea del rap, assecondata spesso da gare di freestyle senza microfono e riflettori. Ora c’è un contratto in major, cene di gala, vestiti di marca in regalo e tanti soldi da sperperare. Ma cosa ha portato questi poco più che ventenni a realizzare il grande sogno? Nelle loro canzoni echeggiano allusioni a un concetto spesso ignorato dagli ascoltatori: il sacrificio. Ed è soprattutto il sacrificio che gli ha permesso di giungere dove sono adesso; sacrificio inteso come “qualsiasi privazione o rinuncia deliberatamente affrontata o subita per necessità”. Qui arriva il collegamento con Valhalla Rising, il film di Nicolas Winding Refn che più si discosta da un’arte prevalentemente mainstream come quella del rap. L’opus n.7 del danese è un viaggio: verso la morte, si direbbe. Di sicuro il viaggio è lungo, quasi interminabile (nonostante i novanta minuti del film).
One-Eye (Mads Mikkelsen) è un guerriero vichingo, muto e cieco da un occhio, sfruttato dai padroni per combattere contro altri guerrieri. Lui, però, è il migliore; nessuno lo ha mai battuto, ma soprattutto non è mai stato prigioniero delle stesse persone per più di tre anni. Ecco allora che, durante uno spostamento da un campo di battaglia all’altro, One-Eye si libera e uccide i padroni. Risparmia solo un ragazzino, che da lì lo seguirà ovunque. Quest’ultimo aiuterà il protagonista a comunicare con un gruppo di cristiani, intenzionati ad andare in Terra Santa. Anche One-Eye e il ragazzino saliranno sulla barca per Gerusalemme ma, come accadrà a Colombo molti anni dopo, la destinazione finale sarà ben diversa. Nulla a che vedere con un luogo di guerra, solo il silenzio del Nord America ancora inesplorato, in cui molti dei partecipanti alla spedizione moriranno.
A Valhalla Rising sembra mancare tutto, da un significato filosofico che giustifichi i simbolismi a un aspetto visivo degno di nota. Eppure, uno spettatore attento potrebbe facilmente ricredersi sul finale. One-Eye e il ragazzino sono ormai soli; alcuni sono morti, altri sono in procinto di farlo. Il bambino vuole tornare a casa. Nel mentre però, arriva un gruppo di indiani armati. La morte sembra prossima anche per loro; se non fosse che One-Eye è un dio: durante il film ha trasformato l’acqua salata in acqua dolce, ha previsto il futuro e, come detto, ha una forza fisica sovrumana e riesce a comunicare con il ragazzino pur essendo muto. Nel finale si fa uccidere e impedisce agli indiani di toccare il bambino, che non avrà problemi a costruirsi una barca e tornare nella terra natia.