Broken Machine prova che i Nothing But Thieves non hanno intenzione di farsi dimenticare tanto presto
Nel 2015, i Nothing But Thieves sono emersi come una delle tante band di metà anni ’10 che in qualche modo si rifanno al rock alternativo degli anni ’90, reinterpretandolo in chiave indie. Si sono presentati con un primo disco molto buono ma non rivoluzionario ed hanno ottenuto un discreto successo commerciale,
Singoli come Trip Switch, Ban All the Music e Wake Up Call hanno fatto la loro parte significativa nel successo del gruppo. Ora, con il loro secondo album, i cinque musicisti inglesi compiono certamente un bel passo avanti, entrando di diritto tra i nomi più interessanti della realtà attuale del rock d’oltremanica.
Se infatti il loro primo album omonimo, come detto, si manteneva su uno stile alternative/indie con alcuni momenti più pop, questo Broken Machineesplora nuovi territori. Il dream pop di Soda e Afterlife, per esempio. Sembra che la band non abbia intenzione di cristallizzarsi su di un unico stile.
Si può citare anche l’episodio particolare di Live Like Animals, traccia con sponde rap evidentemente influenzata dallo stile dei Twenty One Pilots. Forse non esattamente quello che i fan finora guadagnati dalla band si aspettano da loro, ma il punto è questo: finché un gruppo sorprende, la strada è buona.
Non mancano, naturalmente, i pezzi più marcatamente rock, con ottimi riff di chitarra e assolo di buon livello. Motivi che potrebbero scontentare chi cerca qualcosa di più impegnativo e “pesante”, ma viceversa fare la gioia di un pubblico più allargato e meno esigente.
Amsterdam, I Was Just a Kid e Get Better, in questo senso, hanno tutti i numeri giusti. L’anima rock della band, se pur messa in discussione, è sempre ben presente. A completare il tutto concorrono anche dei lenti dal sapore più pop come Sorry e Particles.
Una menzione a parte la merita la title track, Broken Machine. Questa infatti è l’unica canzone del disco che creando un’atmosfera particolare riesce ad uscire dai cliché. Un esempio di come un complesso di questo tipo sia stato capace di implementare notevolmente il proprio stile nel giro di soli due anni.
La voce di Conor Mason, il cantante della band, rimane sempre, certo, il punto forte dello stile del gruppo. Ma qui è adeguatamente sostenuta da un songwriting più maturo e professionale. Ela scelta di rifarsi ad influenze e generi diversi non va ad incidere sulla coesione dell’insieme, anzi.
Per quanto partendo dalla classica formula fatta di intrecci di chitarre e suoni alt-rock con poco spazio per altri elementi, la band mostra nel nuovo album di sapersi guardare attorno e di poter apprezzare i rapidissimi mutamenti del panorama contemporaneo. Del quale, si intende, non manca di essere parte importante.
Il gruppo sa bene che nel panorama attuale occorre re-inventarsi ed essere anche capaci di lasciarsi alle spalle gli elementi più ingombranti per mirare ad una permanenza significativa sulla scena. Chi fa sempre le stesse cose non andrà mai oltre i primi due o tre album, in termini di qualità.
Proprio in questo senso Broken Machine si rivela un disco omogeneo, completo e coinvolgente, che in qualche modo realizza quanto prospettato da questo verso della title track:My head goes forward and my heart goes back. Nella canzone, le parole indicano la situazione in cui si trova qualcuno che è bloccato, e non riesce a progredire.
Ma ciò nonostante, sembra proprio che i Nothing but Thieves non si trovino affatto in questo stallo. Infatti l’album suona variegato, alternando momenti prevedibili ad altri più interessanti, senza diventare dispersivo e senza annoiare. Stanno andando avanti, e noi con loro.