Interstellar – Recensione

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Non andartene docile in quella buona notte,                                                                                                         I vecchi dovrebbero bruciare e delirare al serrarsi del giorno;                                                                         Infuria, infuria, contro il morire della luce.

Con questi versi del poeta gallese Dylan Thomas seguiamo la partenza dell’astronave Endurance, e cogliamo il manifesto programmatico di Interstellar: film sull’anelito alla vita dell’uomo, che pur all’apice della tecnologia, si trova costretto a riconoscere i propri errori e limiti e a fare affidamento su quanto di più naturale sia in lui; l’istinto di sopravvivenza.

In un futuro prossimo, l’Apocalisse è alle porte nelle sembianze di improvvisi cambiamenti climatici che hanno preso il controllo del pianeta terra, rendendolo invivibile. Il cibo scarseggia e la popolazione eccede. Ed è rimasto solo il mais da coltivare: la fine è davvero prossima.

Con la sua immancabile birra e i retaggi texani, Matthew McConaughey è qui Cooper, ex ingegnere e pilota della NASA, che per rispondere alle necessità della lotta alla sopravvivenza, si è rinventato agricoltore e vive con il suocero e i due figli, Murph e Tom. Uno strano caso, fatto di messaggi criptati nella camera di Murph, conduce nuovamente Cooper e l’adorata figlia, dalla NASA stessa, rendendolo l’ultimo membro di una spedizione in partenza per salvare gli abitanti della Terra. Dopo un disperato saluto tra Cooper e Murph, la squadra parte alla volta dell’universo sfruttando un wormhole, che li condurrà in un’altra galassia in cerca di una nuova casa su cui far proliferare la razza umana (o forse solo degli embrioni congelati).

E fino alla galassia più remota e silenziosa, l’uomo porta il suo caos per ritrovare il cosmos perduto.

Sul film di Christopher Nolan si sono già scritti chili di letteratura cinematografica e anche la Scimmia ha sentito allora l’urgenza di esprimere la propria opinione: perché Interstellar non è un film che possa lasciarti attonito o indifferente. Nel bene o nel male, bisogna parlarne.

Dopo film conturbanti e dagli incastri perfetti come MementoInception e i due episodi de Il Cavaliere Oscuro, Christopher Nolan è riuscito infatti a consegnarci il film del secolo.

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No, non il film più bello e riuscito mai prodotto, bensì quello che è ideologicamente il manifesto della nostra epoca: la Natura è in rivolta, ma non è mai veramente crudele, a differenza della Natura umana, scissa nell’eterno conflitto tra bene e male, che pure è sempre al centro. E sebbene questi temi possano non sembrare nuovi agli spettatori di film osannati, come Avatar,Interstellar riesce nell’impresa di conciliare qualcosa che sembrava impossibile congiungere: scienza e umanità. La perfezione del  calcolabile e l’infinita inesattezza dei sentimenti.

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Nolan è quel genere di regista che riesce a mettere in bocca ai suoi personaggi una frase come “l’amore è l’unica cosa che trascende il tempo e lo spazio ” e a non farti venire il diabete.

Perché una frase in sé trita e ritrita si rivela qui la chiave di volta dell’intera vicenda e per la prima volta questo sentimento viene presentato come qualcosa di fisico, quantitativamente misurabile. Una forza reale, che si svincola dall’indefinibilità della sfera emotiva, per manifestarsi come una energia perfetta, davvero in grado di superare ogni barriera.

È l’uomo che rende scienza l’uomo. In questo impensabile connubio tra la scienza più evoluta e l’impulso primordiale, tra ragione e sentimento in definitiva, sta la grande impresa del regista, la sua attualità: la suprema perfezione della scienza deve porre rimedio alla catastrofe, ma l’amore, l’umanità dimenticata, si rivela la vecchia ma rinnovata soluzione.

Ma di quale amore ci parla Nolan? È quello certo, indissolubile, forse l’unico vero, tra genitori e figli: anche se ci sono in secondo piano il professor Brand e sua figlia, è il binomio Cooper- Murph, ad essere l’emblema dell’amore sacro e potente.

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E Nolan, in un film di fantascienza colossale, riesce pure a farci appassionare ad un dramma intimo e comune, inducendoci a riflettere sulla relazione tra padri e figli:

Una volta che si diventa genitori, non si è altro che il fantasma del futuro dei propri figli

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Ancora una volta, il regista, con un dettaglio, ci rivela molto e anche l’ultimo abbraccio tra un padre risoluto e una figlia disperata, sancito da una promessa trattenuta in un orologio, diviene di fondamentale importanza per tutti. Per non parlare del dèjà vu della scena di Contact (Zemeckis, 1997), in cui Jodie Foster, prima di partire per lo spazio, riceve una bussola dallo stesso McConaughey. Matthew e i suoi doni essenziali.

Un tempo per la meraviglia alzavamo al cielo lo sguardo sentendoci parte del firmamento, ora, invece, lo abbassiamo preoccupati di far parte del mare di fango.

Nel futuro immaginato da Nolan, troppo vicino per non essere familiare, troppo lontano per essere preoccupante, l’era della tecnica si è chiusa in se stessa in un probabile circolo di avidità e bramosia. Gli uomini sono stati degli insaziabili Gargantua, come il buco nero affrontato dai protagonisti, e ora temono di perdere quanto hanno accumulato e si sono resi guardiani che soffocano la loro indole di esploratori.

E se anche è vero che “… troveremo una soluzione … l’abbiamo sempre fatto” per quello che l’uomo è diventato e per la situazione disperata in cui si è venuto a trovare, nulla è certo.

Interstellar è il film ideale della nostra epoca perché antropocentrico: è l’indole umana ad essere analizzata in ogni sua sfaccettaura, ad essere vivisezionata e fatta rivivere nei vari personaggi, positivi e negativi: Cooper, Murphy, Amalia, il professor Brand, il dr. Mann, Tom, tutti sono un dettaglio fondamentale del quadro. Questo catalogo umano è il protagonista delle vicende anche nell’altra galassia: è l’uomo a ravvivare il silenzio dell’universo e a renderlo per certi aspetti un posto migliore, ma è ancora l’uomo che reca con sé il male, che non è altrimenti nascosto in alcun angolo del cosmo.

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Non sorprende dunque che i presunti burattinai del cosmo, “loro”, si risolvano inesorabilmente in un “noi”: sembra che Dio sia morto anche per Nolan oltre che per Nietzsche.

Il regista inglese delinea quindi la piena centralità dell’uomo, ma anche l’eccentricità del marcio insito in lui, un male che se da un lato è cresciuto con il progredire della tecnica, dall’altro gli è proprio, come l’istinto di sopravvivenza e l’egoismo.

L’elemento più apprezzabile e interessante di Interstellar è quello di essere, al contempo, un insieme ponderato di blockbuster e istanze autoriali, di attenzione al guadagno ma anche ai sentimenti più profondi,  di bene e male insomma, proprio come l’uomo. È un film, dunque, ambizioso, che sembra vincere i suoi difetti scientifici, che certamente ci sono.

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I riferimenti ai capolavori del genere non mancano, da Alien di Ridley Scott a Uomini Veri di Philip Kaufman, ma come potrete immaginare, è soprattutto al kubrickiano 2001 Odissea nello Spazio che Nolan deve scene clou come la caduta nel buco nero. Interstellar però attinge da un vasto arsenale di capolavori spaziali mantenendo una sua dignità e originalità di intenti, dettati soprattutto dal desiderio di conciliare la perfezione dell’universo con l’imperfezione dell’uomo.

In tre scorrevoli ore di film (sì, scorrevoli) assistiamo a scenografie colossali e immagini davvero spettacolari, grazie al nuovo direttore della fotografia Hoyte Van Hoytema, ed essendo il film girato in pellicola a 35 mm e IMAX 70 mm, merita la visione su gli schermi enormi del multisala.

A rendere ancora più intensi gli scenari mozzafiato concorrono le musiche apocalittiche di Hans Zimmer (La sottile linea rossaIl Gladiatore) che, da sempre collaboratore di Nolan per le colonne sonore, concede con la potenza dell’organo, un passo ancora più vicino nella nuova, inesplorata galassia.

A quanti ancora additano il film come impreciso e non del tutto spiegabile logicamente, ricorderei che è un prodotto di Hollywood, non l’ultima scoperta di Stephen Hawking. Soprattutto, le perfette spiegazioni inaridiscono un orizzonte di sentimenti che sarebbe qui stato negato se nella sceneggiatura i fratelli Nolan avessero prestato troppa attenzione alle teorie del fisico Kip Thorne, sulle quali si basano diverse spiegazioni scientifiche proposte.

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Le interpretazioni del cast reggono benissimo l’apparato scenico, a partire dalla giovanissima Mackenzie Foy fino all’intenso cameo di Matt Damon, che ci saluta con un sussulto sulla poltrona.

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Dalle paludi della Louisiana in True Detective, fino alla più remota galassia, Matthew McConaughey è ancora una volta eccellente, e sembra quasi un inutile esercizio di piaggeria osannarlo: Cooper, questo salvifico Prometeo dell’universo, non avrebbe potuto avere un volto più rassicurante.

MATTHEW MCCONAUGHEY , INTERSTELLAR