Forse potevamo dirlo già qualche posizione fa, ma ora lo si può fare con più leggerezza. Un capolavoro: Pulp Fiction, totalizza 165 punti.
Nella Los Angeles degli anni ’90, si incrociano diverse storie e personaggi: due ladri hanno intenzione di rapinare un ristorante; Jules e Vincent, due sicari, devono trovare una misteriosa valigetta appartenente al loro capo, Marsellus Wallace; Butch, un pugile che sarebbe dovuto andare a terra in un incontro truccato dallo stesso Wallace, decide invece di stendere l’avversario e scappare con il denaro.
Al suo secondo film, Tarantino, sforna il suo capolavoro. Oltre ad essere il capostipite di tutta una serie di film pulp che usciranno negli anni successivi, chiaramente ispirati a questo film (Lock & Stock, Rocknrolla, Slevin – Patto criminale, Smokin’Aces e ecc…), Pulp Fiction, da moltissimi critici e storici, è ritenuto uno spartiacque tra il cinema moderno e post-moderno.
La pellicola ha alcune caratteristiche peculiari e originali per l’epoca: montaggio frammentato (le uniche due sequenze al presente sono quella iniziale e quella finale) con ampio uso di ellissi narrative, flashback e flashforward, dialoghi che sembrano divagare dal fulcro del film, humour nero, spettacolarizzazione della violenza e tantissime citazioni cinefile (il monologo che ripete sempre Jules, prima di uccidere qualcuno, illusoriamente attribuito al profeta Ezechiele, in realtà è tratto da Karate Kiba di Simon Nuchtern, mentre i due gangster, John Travolta e Samuel Jackson, sono ispirati ai due killer di La mala ordina di Fernando Di Leo).
Magistrale l’utilizzo del MacGuffin hitchcockiano, rappresentato dalla valigetta (oggetto, che manda avanti gli eventi, di cui non verremo mai a sapere cosa nasconde).
Tarantino è abilissimo nel rendere epici momenti, apparentemente irrilevanti per lo sviluppo drammaturgico, grazie anche all’uso di una colonna sonora mai così azzeccata e a intrattenerci nelle varie digressioni, con dialoghi incalzanti e rimatissimi.
Difficilmente in futuro riuscirà a far diventare quasi ogni personaggio un’icona (da Mr. Wolf, a Jules e Vincent Vega, da Mia e Marcellus Wallace, a Jimmy, quest’ultimo interpretato dal regista stesso…).
Grazie a lui (e a registi come Eli Roth, Edgar Wright e Robert Rodriguez), sono stati rivalutati registi di genere italiano, finiti nel dimenticatoio, come Lucio Fulci, Mario Bava, Fernando Di Leo, Ruggero Deodato, Sergio Corbucci, Enzo G. Castellari, Umberto Lenzi, Sergio Martino e altri. (a cura di Ettore Bocci)