2 – Old Boy, di Park Chan Wook (2003)
I 16 film con la miglior regia del 21° secolo secondo la Scimmia (in ordine di gradimento)
Più volte presentato con le parole di un altro regista, quelle di Tarantino, che a Cannes lo descrisse come “il film che avrebbe voluto girare”, Old boy presenta in effetti numerose analogie col coetaneo film del cineasta americano, Kill Bill, tuttavia nella nostra classifica la pellicola coreana scavalca di alcune posizioni la storia di Beatrix Kiddo, portandosi addirittura al secondo posto.
Sicuramente uno dei migliori film asiatici mai realizzati, che conferma come la Corea del Sud si sia ormai posta in prima fila nel panorama del cinema mondiale.
Old boy è più che un thriller perfetto. Sotto strati di suspence e tensione, prolifera un sottotesto, cui protagonista è la metamorfosi continua di Dae-su (un Choi Min-sik eccellente), capace di catalizzare egregiamente l’empatia dello spettatore: in ogni fase della sua evoluzione Dae-su non è mai moderato, ma si presenta come un personaggio al limite, con iperboliche emozioni. La fotografia virata al blu degli interni è costante teatro d’irrequietezza e paura. La sceneggiatura prende di punta lo spettatore, travolgendolo, trasferendolo in universo parallelo dove saltano tutti i logici schemi del comportamento umano e nonostante ciò, tutto sembra maledettamente logico e coerente. L’irrealtà delle atmosfere da incubo di Old boy appare più reale che mai e la violenza mostrata in Old boy ha una marcia in più rispetto al binomio violenza-intrattenimento, è una violenza studiata e finalizzata. Come vi abbiamo raccontato nell’articolo riguardo Le migliori scene di violenza degli ultimi 30 anni è davvero memorabile la scena delle martellate nel corridoio: “dopo un cambio di colori che trasporta Dae-su nel teatro del massacro, dalle tonalità livide e tetre, Park Chan-wook opta per un long-take a scorrimento laterale, girato abbattendo immaginariamente una delle pareti di un corridoio. Se per buona parte della pellicola il regista traspone le scene più gore con dei fuori campo (vedi la scena immediatamente precedente dell’estrazione dei denti o quella del taglio della lingua) che lasciano spazio all’immaginazione, rendendo il quadro solo più violento e sconvolgente, in questa sequenza invece, gli attori recitano una lotta-danza in piena vista, come se fossero sul palco di un teatro, riuscendo a trasmettere la fatica del protagonista Dae-su, che è sì straordinariamente forte, ma comunque trova difficoltà nel massacrare una ventina di uomini. Vedere costantemente il quadro completo ci spinge ad accettare meglio quella che in molti film non è altro che una violenza immotivata o una violenza scioccante. In Oldboy la violenza viene profondamente estetizzata.”
Ciliegina sulla torta: una colonna sonora evocativa da riascoltare mille volte.
Old boy è avvincente, intrigante, disturbante, sensuale, raccapricciante, poetico e infine triste, anzi straziante, soprattutto nel ricordarti che:
“Sorridi, e il mondo sorriderà con te. Piangi, e piangerai da solo”
(a cura di Lapo Maranghi)
1 – Mulholland Drive, di David Lynch (2001)
Ed eccoci arrivati al primo in classica, Mulholland Drive. Il film di David Lynch meriterebbe tante parole, ma qui ci limiteremo a fornire una rapida impressione e spiegare il perché secondo noi della Scimmia è il film con la miglior regia del 21° secolo; la pellicola ottenne solo una nomination agli Oscar del 2002, per la miglior regia, premio che andò invece a “A beautiful mind” di Ron Howard. Sicuramente l’opera di Lynch è una delle opere più ermetiche e contorte, non tanto della filmografia del regista, ma del cinema conosciuto dal grande pubblico. Come l’intera filmografia di Lynch, anche Mulholland Drive è un’opera onirica e visionaria, in cui si dà espressione ad una parte di una tipica, convenzionale e a tratti stereotipata società americana, dietro la quale si nasconde una realtà più inquietante e contorta di quanto possa sembrare in apparenza. Prendono forma le angosce e le ansie interiori del maestro, mescolate a sogni e incubi che si confondono con la realtà, al cui centro del racconto si muovono personaggi eccentrici in situazioni eccentriche, in un universo narrativo kafkiano. Allo spettatore estremamente confuso da tanti particolari apparentemente sconnessi tra loro, rimangono tanti “perché” a visione terminata. La macchina da presa si muove sulla scena con grande fluidità ed espressività, riuscendo a calare lo spettatore in una profonda immersione emotiva, attraverso la quale Lynch riesce a comunicare la tensione, l’ansia e i vari stati emotivi dei personaggi coinvolti nella storia. Tutto ciò grazie alla suggestiva colonna sonora del fedele collaboratore Angelo Badalemnti; e una fotografia caratterizzata per l’evidente artificiosità, di un bianco splendente ed esoterica. Lo sguardo della regia mescola la visione soggettiva e la visione oggettiva per invitare lo spettatore a cogliere tutti i riferimenti e gli indizi che lo stesso Lynch mette in scena per permettere almeno una superficiale comprensione. Ed è proprio la regia che rende una storia assurda e allucinata, quasi incomprensibile ad una prima visione, un grande spettacolo di forte suggestione che ammalia e attrae lo spettatore.
(a cura di Aurelio Fattorusso)
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