7. Into the wild, di Sean Penn
Non poteva mancare Into the wild, perché col film di Sean Penn siamo di fronte all’ennesimo caso di film dal comparto tecnico e stilistico eccellente, visivamente mozzafiato, ma tremendamente debole a livello di sceneggiatura, elevato a capolavoro da chi è rimasto affascinato dall’adolescenziale soggetto della pellicola. La pseudofilosofia di Alexander Supertramp appare più che altro come un’accozzaglia di idee anarchiche, incoscienza ed egoismo, che non può che irritare chi ogni giorno si confronta con i veri problemi della vita. Troppo poco travagliato il background del giovane McCandless per giustificarne la fuga dalla società e la sua guerra contro il mondo. L’operazione di Sean Penn sembra più che altro il tentativo di mitizzare un personaggio che di mitico ha ben poco. Sean Penn, nella persona di Christopher, vuole raccontarci che è un errore credere che le gioie della vita provengano soprattutto dai rapporti umani, eppure lui regala felicità a chiunque incontri (degna di nota l’interpretazione di Hal Holbrook), ma lo stucchevole approccio fanciullesco del mediocre Emilie Hirsch verso i rapporti umani e i vari personaggi che incontriamo, forse in grado di appassionare e creare un rapporto drammatico in un romanzo o nella vita reale, risultano solo una mera carrellata all’interno di una narrazione afinalistica e pomposa.