Ad aprile ci avventurammo in una riflessione sulle prime due stagioni di The Leftovers, per prepararci all’attesa conclusione avvenutasi tra giugno e luglio. Dopo aver visto, amato, glorificato queste ultime otto puntate, ecco la nostra riflessione al riguardo.
Di ciò che è appena stato detto ne abbiamo già parlato nell’articolo precedente. Interessante, ora, è cercare di analizzare l’elemento pluridimensionale, che si presenta come un mix di fantascienza e religione.
A proposito di viaggi, e qui arriviamo al protagonista Kevin, s’intuisce che il viaggiare da un mondo all’altro attraverso una temporanea morte sia possibile e che non solo Kevin riesce a farlo, ma tutti quelli che si rendono conto del fatto che l’aldilà è vero, concreto e non un paradiso, un inferno o un purgatorio, ma semplicemente un altro mondo, solo in questo modo si può viaggiare tra i due universi. Kevin lo capisce confrontandosi con il suo doppio nell’ultimo viaggio, ed entrambi sono fermamente convinti di non voler viaggiare più tra le dimensioni, che è giunto il tempo di tornare a casa, di smettere di allontanarsi da essa e di cercare di accettare casa propria come il proprio destino, come propria à ncora di salvezza.
Altro punto di forza sono i confronti, ovvero i dialoghi tra i personaggi. Oltre ai già accennati, quello di Matt con il presunto dio e quello di Kevin con il suo doppio, quasi tutti i personaggi hanno la possibilità di dire tutto ai propri affetti, ogni rapporto viene chiarito, ogni diatriba appianata. I personaggi si aprono, affrontano i propri limiti e le proprie paure attraverso un perpetuo confronto con l’altro. Come avevamo previsto l’elemento umano sovrasta completamente quello soprannaturale, dimostrandoci come la psicologia e l’esistenzialismo, inteso come corrente filosofica, possano aver molto più da dire di un qualsiasi mondo inventato o cosmologia affascinante.
Non meno importante è la resa tecnica della messinscena, che azzardiamo definire praticamente perfetta. Ogni movimento di macchina è al servizio della filosofia della serie, ne rimarca la sua dualità di fondo, l’esistenza divisa tra il particolare e il generale, tra ciò che abbiamo sopra le nostre teste e ciò che abbiamo sotto i nostri piedi. Tale impostazione è percepibile nel cambio quasi scientifico tra campi lunghi che valorizzano i paesaggi di una splendida Australia e i primi piani dei personaggi, passaggi repentini tra macrocosmo e microcosmo. Le immagini padroneggiano sulla sceneggiatura, non c’è approccio didascalico, le scene si esprimono attraverso la geometria, i colori e la luce. Quest’ultima usata magistralmente sia per valorizzare il lato ritrattistico dei personaggi sia per accentuare le atmosfere degli sterminati paesaggi australiani.
Superfluo soffermarci sulle prove attoriali, dato che, come nelle precedenti stagioni, il livello è altissimo, la drammaticità all’altezza di grandi tragedie. Piccola menzione, però, va fatta per tre attori, ossia Christopher Eccleston (Matt), Carrie Coon (Nora) e Scoot Gleen (Kevin Garvey Senior), che superano se stessi diventando le colonne portanti che reggono il tempio The Leftovers, tempio, ovviamente, rappresentato da Justin Theroux (Kevin).
Infine, vanno menzionate le musiche. La splendida colonna sonora di Max Richter si alterna a svariate canzoni, pietre miliari della musica internazionale. Espediente interessante in quest’ultima stagione è il cambio di canzone in ogni opening di ogni singola puntata, si parte con l’assenza di sigla della prima puntata, per poi passare a  brani più dinamici. Nel mezzo della serie, poi, troviamo dei veri brani sommessi e claustrofobici che danno pathos al momento difficile che stanno passando i personaggi, per poi terminare con Let the Mystery Be di Iris DeMent, la canzone che apre tutta la seconda stagione di Leftovers, e a cui è dato il compito di esprimere il senso profondo di tutta la serie. E alle cui parole lasciamo la conclusione di questa riflessione, aggiungendo che The Leftovers è sicuramente una delle serie tv più belle di sempre, e, probabilmente, tra le più importanti in termini artistici e filosofici.
Ci chiediamo tutti da dove veniamo/Ci chiediamo tutti che fine faremo quando arriveremo alla fine/Ma nessuno lo sa con certezza, quindi per me è lo stesso/Io penso che accetterò il mistero