I migliori 20 film sulla solitudine (in ordine di gradimento)

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6. Deserto Rosso, 1964

red desert

Primo film a colori di Michelangelo Antonioni e nono lungometraggio della sua carriera, Deserto Rosso si incentra sulla lotta di una donna con l’alienazione e il disorientamento. Un uso brillante del colore offre un’impressione emotiva e visivamente straordinaria che racconta con precisione l’angoscia psicologica della protagonista.

Monica Vitti impersona Giuliana, giovane madre il cui marito, direttore di un impianto chimico locale, è emotivamente assente. Depressa e tormentata, lo stato mentale di Giuliana crolla rapidamente, complice anche l’alienazione di società circostante dedita al consumo e priva di significato autentico.

Di Deserto Rosso è divenuta celebre la battuta «Mi fanno male i capelli» della Vitti, una citazione da una poesia di Amelia Rosselli.

Alla Mostra del Cinema di Venezia del 1964, Deserto Rosso si aggiudicò il Leone d’Oro al miglior film, mentre l’anno successive un Nastro d’argento alla Miglior Fotografia per Carlo di Palma. Nel 1968 fu premiato infine come miglior film stranieri ai Kansas City Film Critics Circle Awards.

Un film che dividerà sempre l’opinione, Deserto Rosso è un lento ma ottimo studio di carattere che resta a lungo nella mente dello spettatore.

C’è qualcosa di terribile nella realtà, e io non so cosa sia. E nessuno me lo dice.

 

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5. Il Cielo Sopra Berlino, 1987

wings of desire

Considerato uno dei capolavori di Wim Wenders, Il cielo sopra Berlino (Der Himmel über Berlin) non poteva mancare nella classifica stilata dalla Scimmia.

Creazione unica del cinema mondiale, l’impresa franco-tedesca di Wim Wenders esplora il concetto di solitudine da una prospettiva fantastica, narrando la storia di un angelo immortale che si innamora di un essere umano solitario. Parzialmente inspirato alla poesia di Rainer Maria Rilke, il regista ricorse all’essenziale collaborazione del saggista e poeta austriaco Peter Handke per la stesura di alcuni dialoghi, e nel film ricorre spesso la sua poesia Lied vom Kindsein. Con Il Cielo sopra BerlinoWenders propone una riflessione sull’esistere che si fa cinema, pensiero e azione.

Nel 1987, il film vinse il premio per la migliore regia al 40º Festival di Cannes, e innumerevoli altri premi tra cui quelli agli European Film Award per il Miglior attore non protagonista a Curt Bois e il Miglior regista a Wim Wenders. Il film ha raccolto lo status di culto nel corso degli anni e ha ispirato più remake e sequel, tra cui Così lontano così vicino (1993) e City of Angels – La città degli angeli (1998).

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Nel grigio cielo della Berlino post-bellica, invisibili angeli si aggirano per lenire i dolori degli uomini più sofferenti. Due di loro, Damiel e Cassiel, si ritrovano periodicamente per raccontarsi le reciproche esperienze con gli umani. Damiel vorrebbe poter diventare uomo per percepire il senso della materia e della quotidianità. Con l’aiuto di una giovane trapezista e di un attore, prende allora una decisione fondamentale.

Sono stata tanto sola: anche non avendo mai vissuto da sola. Sai, quando ero con qualcuno spesso ero felice, ma comunque pensavo fosse del tutto casuale: questa gente erano i miei genitori, ma avrebbero potuto anche essere altri. Perché mio fratello era quello con gli occhi marroni e non invece quello con gli occhi verdi che stava sulla banchina di fronte? La figlia del tassista, ad esempio, era mia amica; ma avrei anche potuto passare il braccio intorno al collo di un cavallo: sarebbe stato lo stesso. Stavo con un uomo, ero innamorata. Ma avrei anche potuto piantarlo e andarmene via con quel tizio sconosciuto che avevamo incontrato per la strada.