Radiofreccia – Recensione

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È il 20 giugno del 1993 e come sempre Bruno Iori è dietro al mixer di Radiofreccia. Tra poche ore ricorrerà il diciottesimo anniversario della nascita della radio pirata. Una radio che, però, non raggiungerà mai la maggiore età. Bruno ha deciso di dire basta, con una trasmissione speciale, per tornare indietro nel tempo, all’epoca della sua nascita. Bruno sta per raccontarci la storia di come nacque l’emittente e di come Freccia ne segnò inesorabilmente nome e destino. Bruno sta per raccontare a noi ascoltatori la storia di Ivan Benassi.

Radiofreccia è il film del 1998 che segna l’esordio alla regia di Luciano Ligabue, che firma anche la sceneggiatura tratta (ed opportunamente modificata) dalla sua raccolta di racconti Fuori e dentro il borgo. Prodotto da Domenico Procacci, il film racconta la storia di un gruppo di amici di un paesino emiliano (la stessa Correggio di Ligabue) nel ’75, tra il bar, centro della vita quotidiana, amori turbolenti, amore per la musica e l’infausta ombra della tossicodipendenza che pesa sulle spalle dei giovani di quell’epoca. È un ritratto intimo e sentito quello che Ligabue ci presenta nel suo lungometraggio, che mostra tutto il suo amore per i suoi personaggi e la vita nel borgo, disperso tra la via Emilia e il west, tra una gioventù sporca ed un destino che sembra segnato.

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È Freccia (Stefano Accorsi), così chiamato per via di una voglia a forma di freccia su una tempia, il centro di tutta la narrazione. Ligabue decide di svelarci subito il suo destino, mostrandoci la sua morte avvenuta a causa di un’overdose di eroina, una dose fatale assunta dopo la fine di una burrascosa ed intensa storia d’amore. Ma tutti i personaggi sono tormentati dal loro tempo, un tempo incerto tra miti e rabbie giovanili e le prime responsabilità dell’età adulta. Freccia stesso lo descrive perfettamente nel suo ormai famosissimo monologo:”C’ho un buco dentro“. Tutti sentono il peso dell’esistenza che pende sulla loro testa: a Freccia non basterà più il rock’n’roll, il calcio e qualche ragazza e comincerà a bucarsi, Bruno Iori (Luciano Federico) tenta di riempire questo vuoto decidendo di fondare una radio pirata, inizialmente chiamata Radio Raptus, dopo aver sentito la trasmissione di un’emittente nel bar di Adolfo (Francesco Guccini), Tito (Enrico Salimbeni), con un passato segnato dalle ripetute violenze del padre sulla sorella minore, arriverà a tentare di ucciderlo e ne rimarrà scosso per tutta la vita, Boris (Roberto Zibetti) si rifugia nel cinismo e nell’egoismo, mentre Iena (Alessio Modica) tenta disperatamente di moderare gli animi roventi degli amici.

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È un ritratto agrodolce ma sempre onesto quello di Ligabue, che riesce a farci credere di essere dentro quel borgo, che Freccia e compagnia siano da sempre i nostri amici e che tutti noi saremmo potuti essere dei personaggi dentro al borgo. Uno dei punti forti del film è questa terrenità, queste persone genuine, fedelmente ritratte con affetto da uno che quel borgo l’ha vissuto. Personaggi che insomma è facile sentire vicini e che entrano nel cuore per non uscire mai, compresi quelli “minori”.

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Registicamente, non siamo di certo di fronte ad un virtuoso della cinematografia. Ligabue, per ovviare alle sue carenza tecniche, fu affiancato da Antonello Grimaldi, che lo aiutò a trasformare le idee nella sua mente in scene cinematografiche corrette. E questo è quello che avvenne: Radiofreccia è un film pulito, diretto con rispetto delle regole e con qualche trovata di messa in scena particolarmente interessante, come i singolari quadri che segnalano i capitoli. Sicuramente un’ottima prova dietro la macchina da presa per Ligabue, specialmente se si considera che lo stesso Ligabue disse che “fare il regista è una cosa molto lontana dalla sua natura”.

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Chiaramente la musica ha un ruolo molto importante nella pellicola, trattando le vicende di Radio Raptus intersecate a quelle di Freccia. La colonna sonora, firmata da Ligabue stesso contiene grandi pezzi degli anni ’60 e ’70, con artisti come David Bowie, Iggy Pop, Lou Reed, Lynyrd Skynyrd, Creedence Clearwater Revival e Earth, Wind and Fire. Compose inoltre vari pezzi strumentali ed una ballata, “Ho perso le parole”. Presente anche Guccini con un suo brano.

Radiofreccia è senza dubbio una delle pellicole più interessanti nel panorama italiano di quegli anni, frutto di un ottimo lavoro impreziosito dalle prestazioni attoriali, specie quella di un giovane Accorsi che spicca su tutti. Il film è stato ben accolto dalla critica, vincendo 3 David di Donatello (miglior regista esordiente, miglior attore protagonista e miglior sonoro in presa diretta) e due Nastri d’Argento (miglior regista esordiente e miglior canzone originale). Una piccola perla che è diventata un cult in poco tempo, riuscendo a parlare senza troppi sofismi ai giovani (e non) richiamandosi a quel retroterra di vita di paese che, ancora oggi con i dovuti cambiamenti, sopravvive nelle province italiane.