Un po’ di tempo fa avevamo parlato di Ken Adam, e delle sue capacità ed idee che hanno reso grandi i film di Stanley Kubrick e della saga di007 (e non solo).
Oggi si vuole continuare quella sorta di articolo parlando di un altro celebre “architetto” cinematografico. E già qua potreste pensare, che erroraccio! Perché, se Ken Adam era davvero un laureato in Architettura, Dante Ferretti no; è invece artista e scenografo.
Nasce a Macerata nel 1943, frequenta l’Istituto d’Arte fino a che non si trasferisce a Roma, dove si diploma all’Accademia di Belle Arti. Qui si avvicina al mondo del cinema ed in particolare a quello della scenografia. E’ infatti assistente di Aldo Tomassoni Barbarossa. Fu grazie all’amicizia ed alla collaborazione con Luigi Scaccianoce che entrò veramente in contatto con il suo futuro universo. Infatti come assistente scenografo partecipa alla realizzazione di film di Pasolini come Il Vangelo secondo Matteo (1964), Uccellacci e uccellini (1966) ed Edipo Re (1969). Il primo lavoro da scenografo lo fa in Medea del 1969, con protagonista Maria Callas, e da qui si stringerà con Pier Paolo Pasolini un fortissimo sodalizio lavorativo che lo porterà al successo.
Per Pasolini curerà anche le scenografie di Salò o le 120 giornate di Sodoma, l’ultimo film del grande regista.
Dante collaborerà anche con tantissimi altri registi italiani, fra cui anche Franco Zeffirelli, Ettore Scola, Dino Risi e Federico Fellini.
E’ il 1969 quando incontra Fellini, che gli chiede di collaborare ad un suo film. Tuttavia Ferretti lo prega di pazientare un po’ in quanto teme di “bruciarsi” la carriera sul nascere. Passa del tempo, ma una notte i due si incrociano per caso a Cinecittà e Fellini gli dice:
“Sono trascorsi dieci anni da quella volta: è ora che tu venga a lavorare con me!”.
Si stringerà da qui un ottimo rapporto lavorativo che durerà per cinque film, da Prova d’Orchestra del 1979 a La voce della luna del 1990.
Con Ettore Scola collabora nel 1982 per Il Nuovo Mondo. Invece di Zeffirelli famose restano le scenografie per Amleto, per cui Ferretti prende anche una nomination agli Oscar. In questo film le scenografie saranno fondamentali al regista per far comprendere al pubblico la dimensione interiore dei personaggi, il continuo scambio fra svelare e non svelare, fra interno ed esterno.
Ma è verso gli anni ’80 che avviene una svolta importante nella vita di Ferretti. Collabora infatti nel film-successo Il Nome della Rosa, di Jean-Jacques Annaud del 1986, creando scenografie fantastiche e misteriose ma soprattutto consacrandosi sul piano internazionale. Viene scelto poi anche da Terry Gilliam per Le Avventure del Barone di Munchausen, nel 1990, da cui Ferretti otterrà anche la sua successiva candidatura agli Oscar.
Ma è il 1993 l’anno della più fruttuosa (forse) e famosa collaborazione di Ferretti. In questo anno infatti viene prodotto L’età dell’Innocenza, di Martin Scorsese, che varrà a Ferretti la sua terza candidatura agli Oscar. I due si erano conosciuti anni prima sul set di La città delle donne di Fellini, di cui Scorsese era grandissimo ammiratore. Martin Scorsese si dichiara sempre ancora sorpreso quando pensa che:
“[…]uno degli artisti migliori con cui abbia mai lavorato nell’ambito dell’allestimento scenografico sia diventato uno dei miei collaboratori più validi“.
E’ solo di poco tempo fa Silence, il nono film che i due realizzano insieme. E’ questo sodalizio che permetterà a Ferretti di trovare un regista che si fidi completamente di lui, lasciandolo libero di sognare e realizzare le scenografie in modo personale.
Nel 1995 è la volta di Casinò, con Robert De Niro e Sharon Stone. Qui Ferretti dovette ricreare una vibrante e scintillante Las Vegas anni ’70; questo lo rese titubante poiché non conosceva molto la città. Dietro consiglio del regista, Ferretti visionò Colpo Grosso di Milestone del 1960 e consultò diverse documentazioni per capire quale fosse lo stile di Las Vegas, rendendosi conto tuttavia che la città non aveva una sua personale impronta e dunque si era liberi di realizzare molteplici set nei modi più svariati.
Nel 1997 collabora ancora con Scorsese in Kundun, che tratta del quattordicesimo Dalai Lama del Tibet, Tenzin Gyatso. Qui cura anche i costumi, mentre le scenografie sono realizzate assieme alla moglie Francesca Lo Schiavo. C’è infatti da dire che il più grande sodalizio Ferretti lo stringe con sua moglie, con cui collabora in molti film.
Gangs of New York è del 2002. Girato interamente negli studi di Cinecittà, dove venne allestito un gigantesco set che ricostruiva New York all’epoca, il film ha avuto una produzione travagliata che ha allungato di tre anni la realizzazione del progetto e fatto aumentare il budget prestabilito, portandolo ad oltre 100 milioni, allora il più alto di sempre per un film di Scorsese.
Anche qui Ferretti collabora con Francesca Lo Schiavo. Venne ricostruito oltre un miglio di Manhattan ottocentesca, tra cui le zone di Lower Manhattan e i Five Points, una sezione del lungofiume dell’East River (con molo e due navi annesse), una via di abitazioni di Broadway bassa, la villa di una famiglia benestante, una chiesa, un saloon, un teatro ed un casinò. Ovviamente arrivò un’altra candidatura agli Oscar per Ferretti- Lo Schiavo.
Nel 2004 è la volta di The Aviator, un capolavoro, sotto ogni punto di vista. Se la rappresentazione di una tale figura estrema era una sfida enorme per DiCaprio, Scorsese e lo sceneggiatore John Logan, la ricreazione del periodo non è stata una sfida da meno per Ferretti e moglie. La maggior parte degli altri film di Ferretti erano ambientati in un passato lontano, mentre The Aviator è in un luogo e tempo familiare alla maggior parte delle persone.
“Dovevamo essere molto precisi, molto credibili, perché molte persone conoscono il periodo e secondo me lo siamo stati. Martin era contento di quello che abbiamo fatto”.
Prima di iniziare la produzione, Scorsese ha presentato a Ferretti libri e fotografie d’archivio, insieme ad una spiegazione di come voleva che fosse guardato il film, fino ai minimi dettagli, come le angolature della macchina fotografica. Ferretti proseguì da lì.
“Mi piace pensare come qualcuno del periodo. Sono un po’ come un attore, cambio personalità, per me è il modo migliore per lavorare“.
In The Aviator, molte scene chiave si svolgono in uno dei locali notturni più glamour di Hollywood, chiamato Cocoanut Grove. Ferretti e Lo Schiavo, armati di quelle conoscenze e pile di fotografie, hanno poi lavorato per quattro settimane per ricrearlo su un palcoscenico a Montreal, dove sono state girate molte delle scene interne del film. Tutte le scenografie sono state progettate e realizzate in meno di 12 mesi, il che ha dell’incredibile.
Nel 2009 vi è Shutter Island, nel 2011 Hugo Cabret, dove Ferretti collabora ancora con la moglie e per cui vinsero insieme l’Oscar. In un’intervista al New York Times Ferretti narra che Scorsese lo obbliga a vedere insieme interamente molte pellicole prima dell’inizio della produzione di un film, a volte anche solo per osservare due singole riprese. Proprio riguardo al film dichiara: “Volevamo che fosse tutto pieno di macchine, che ogni cosa si muovesse. Dentro le pareti di Hugo tutto diventa un po’ più magico. Con queste scene ho avuto modo di essere più creativo rispetto al resto. Per le sequenze con i corridoi pieni di tubi e vapore abbiamo creato un labirinto, un modo segreto di Hugo per raggiungere gli orologi”. Ferretti ha spiegato di aver ricostruito lo studio di Méliès con tanto di vetri e acqua, in modo da creare un enorme serbatoio che il regista utilizzava per far sembrare che le riprese si stessero tenendo sott’acqua.
L’ultimo, come già detto, è appunto Silence, del 2016. Sempre ancora con la moglie, per questo film Ferretti realizza anche i costumi. Un compito non facile, quello di Silence, ma che Ferretti ha saputo ancora una volta gestire con elegante maestria. Avevamo già ampiamente parlato della fotografia spettacolare del film, ma merita un approfondimento anche la scenografia. Riguardo alla produzione di questo film egli dichiara “Erano state così tante le volte che mi ero preparato a iniziare il film, che poi veniva rinviato, che quando è arrivato il momento siamo dovuti ripartire da zero”. Si è anche recato più volte in Giappone visitando Tokyo, Kyoto e Nagasaki, rimanendo affascinato.
Sarebbe davvero limitante associare Ferretti sempre al nome di Scorsese, perché molte di più sono le meraviglie che lo scenografo italiano ha prodotto. Tanti dei film più belli che sono passati nelle sale negli ultimi anni, sono prima passati dalle sue mani. Da Il Settimo Figlio, a The Black Dahlia di Brian De Palma, i registi a cui il nome di Ferretti è legato sono moltissimi e tutti di enorme talento. Ha curato anche Vi presento Joe Black, Intervista col Vampiro, Ritorno a Cold Mountain, tutti film eccezionali.
Da ricordare in ultimo è di certo Sweeney Todd – il diabolico barbiere di Fleet Street del 2007. Ferretti e Lo Schiavo si aggiudicarono ancora un’altra statuetta per questo film.
Come appunto c’è da chiedersi come mai a questo meraviglioso artista non venga ancora riconosciuta dall’Italia la giusta grandezza. Dovrebbe, con modesto parere personale, essere quasi studiato nelle scuole, soprattutto quelle di Architettura e di arte, perché tanto ha da insegnare. Riconosciuto ed amato in tutto il mondo, l’Italia dai tempi di Zeffirelli e Pasolini sembra essersi dimenticata dei grandi che invece ha in casa (anche Milena Canonero, ad esempio).
Da aggiungere infine che in questo articolo si è trattato solo riguardo le opere cinematografiche di Ferretti, che in realtà ama e lavora anche in campo teatrale.
“Quando lavoro contemporaneamente ai set e ai costumi immagino come poteva essere vivere in quell’epoca. Poi controllo tutto e qualche volta, se trovo un errore, invece di correggerlo lo lascio. Nella vita reale ci sono sempre errori e se nei set o nei costumi c’è qualcosa non in sincronia va bene lo stesso. Come nella vita reale”.
Una sola domanda si può fare a Ferretti, lo scenografo che tutti vorrebbero: Con chi ancora vorrebbe lavorare? “Spielberg. Al compleanno di Scorsese, Steven mi ha detto: ‘Dobbiamo fare un film insieme‘”.