In Sordina: Film – Synecdoche, New York di Charlie Kaufman

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Charlie Kaufman. LO sceneggiatore. Quattro nomination su sette film. Un Oscar. Numerose collaborazioni. Attiva partecipazione in TV. Una esplosiva quanto originale genialità. La mente dietro a pellicole già divenute cult. Eppure, nonostante ciò, questa grandissima personalità e i bellissimi film che crea passano spesso agli occhi degli spettatori…in sordina.
Oltre ai più noti Essere John Malkovich ed Eternal Sunshine of the Spotless Mind, Kaufman è anche l’autore di autentici capolavori come il quattro volte candidato agli Oscar Il Ladro di Orchidee, il cartone in stop-motion Anomalisa e la sua prima fatica dietro la macchina da presa: Synecdoche, New York.

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Synecdoche: un abile gioco di parole che mescola Schenectady (città dello stato di New York, dove la vicenda del film è ambientata) e la sineddoche (una figura retorica che consiste nella sostituzione di un termine con un altro). Niente di più appropriato. Perché Synecdoche, New York è una pellicola che narra proprio di sostituzioni, cambiamenti, trasformazioni.
Il protagonista, interpretato da un bravissimo Philip Seymour Hoffman, è Caden Cotard, premiato regista ed autore teatrale, assiduo ipocondriaco nonché vittima perpetua di una grandissima incapacità a relazionarsi, che lo porterà non solo alla solitudine, ma ad uno stato di lucida follia in grado di fargli realizzare la più imponente opera teatrale che la mente umana possa concepire: un meta-spettacolo in cui viene ricostruita nel dettaglio tutta la sua vita, dalle discussioni che ha avuto agli edifici in cui lavora, dai gesti del suo corpo alle persone che lavorano per lui. In quel palcoscenico vivente che Caden fa costruire, tutto si trasforma nel doppio di se stesso, fino a raggiungere un finale tanto caotico quanto poetico.

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Ma Synecdoche, New York non è solo questo. È un viaggio, letteralmente senza tempo (o con un tempo che non segue la classica logica cinematografica), che trasforma gradualmente il protagonista e nella cui trasformazione lo spettatore è coinvolto di pari passo. Caden vive, soffre, ragiona e crea, ed ognuno di noi è invitato a provare con lui, per lui e su di lui le stesse emozioni. Il grande spettacolo che fa da timone alle azioni del protagonista diventa non solo meta-spettacolo (e in questo senso anche meta-cinema) ma anche doppia meta-vita: quella che Caden cerca di ricreare minuziosamente per raggiungere una perfezione che non avrà mai realmente, e quella che viene mostrata allo spettatore: la vita vera, assurda, malinconica, illuminante e bellissima che la vita stessa è. Più le azioni di Caden progrediscono, confondendosi caoticamente nella linea temporale della pellicola e in se stesse, più egli diventa l’oggetto di una sineddoche che sostituisce la sua persona trasformandola definitivamente in altro da sé. Ma mentre da tutto ciò Caden riesce infine ad ottenere una pace per i suoi tormenti, quel che rimane allo spettatore è una bellissima e commossa riflessione da portarsi gelosamente dentro sé. E un piccolo film meraviglioso da rivedere più volte.

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