Dopo lo straordinario esordio alla regia con il film “Le iene”, Tarantino torna dietro la macchina da presa per girare “Pulp fiction”. Nonostante le alte aspettative, il regista supera se stesso con questa pellicola. Probabilmente il lavoro migliore, sicuramente quello che lo ha consacrato definitivamente, avendo ottenuto un grande riconoscimento da parte dell’Academy, ricevendo il premio Oscar per la miglior sceneggiatura originale. Come è noto, prima di diventare ed essere regista, Tarantino è un grande estimatore ed appassionato di cinema, un vero e proprio cinefilo. La sua cultura cinematografica, costituita dalla numerosa quantità di film visionati, ha influenzato in modo permanente e profondo il suo stile. Quello di Tarantino è un cinema sul cinema. Nella filmografia tarantiniana il cinema guarda, ammicca e parla di sé stesso. Numerosissimi sono gli omaggi, le citazioni e riferimenti all’intera storia del cinema. Un vero e proprio saccheggio compiuto dall’autore. Dalla nouvelle vague, a Fellini, da Kurosawa a Leone, passando per i road movie degli anni ’70, fino al genere exploitation. Tutto questo e altro confluisce nell’opera tarantiniana, cosi anche in “Pulp fiction”, ovviamente. Allo stesso modo nella costruzione della sceneggiatura, Tarantino fa ricorso a modelli precedenti e consolidati del cinema classico, adattandoli alla propria struttura narrativa, stravolgendoli. La grande innovazione dell‘autore è quella di avere creato una struttura del tutto originale in cui le sequenze si mescolano, si sovrappongono senza un preciso ordine logico-cronologico.Tarantino crea una forma nuova, in cui la narrazione è costituita da schemi concentrici in un ordine simmetrico-speculare. Suddividendo il film in sei macro-sequenze si può notare che: la sequenza iniziale e quella finale sono inglobate nello stesso episodio che fanno da cornice all‘intreccio, costituiscono la parte centrale, l’intermezzo; così la seconda sequenza e la quinta rappresentano l’episodio iniziale; infine la terza e la quarta vanno a chiudere la storia, ponendovi fine. Si viene a creare in questo modo una struttura narrativa originale, ma tipica allo stesso modo; un ibrido che rappresenta non una rottura con i convenzionali regimi narrativi, ma come superamento di essi, portando ad una crisi del canone classico. Quella di “Pulp fiction” è una sorta di antinarrazione, sulla scia del cinema postmoderno, che depriva l’azione di causalità , rendendo gli eventi casuali e non chiaramente definiti. Il racconto è diviso in tre episodi dai titoli, in ordine cronologico: “La situazione di Bonnie“, “Vincent Vega e la moglie di Marcellus Wallace” e “L’orologio d’oro”. I tre episodi sono distinti ma intrinsecamente collegati l’uno all’altro, originando una forma del racconto in cui le storie si confondono. Le situazioni e personaggi sono quanto più semplici possibile, consolidati nella storia del cinema, per stessa ammissione del regista. Tanto da essere ormai parte dell’immaginario collettivo, di una cultura popolare che diventa oggetto del cinema di Tarantino. Le pellicole tarantiniane affondano le radici proprio in quella cultura popolare universale che attraverso la macchina da presa è parodiata.Un esempio è fornito dal sogno/flashback di Butch Coolidge, in cui Christopher Walken appare nelle vesti del capitano Koons, un reduce della guerra del Vietnam, commilitone del padre di Butch. Walken porta con sé l’orologio che fu del suo amico per restituirlo al figlio. La visione si riallaccia non solo ad un contesto culturale che richiama il periodo bellico ma anche alla pellicola cult de “Il cacciatore”, in cui lo stesso Walken interpreta un soldato spedito al fronte. Il racconto delle disavventura dell’orologio sfuggito alla confisca da parte dei vietcong, è una sorta di delirio, privando di solennità un momento critico della storia americana. Il lavoro del regista si concentra appunto sul destrutturare il tutto. Caratteristica del cinema tarantiniano è proprio la destrutturazione, percepibile ora nello schema narrativo, ora nella costruzione del genere e nella creazione dei personaggi. Come ne “Le iene” anche in “Pulp fiction” Tarantino ambienta la vicenda nel contesto suburbano di Los Angeles, in cui si muovono individui che vivono al di fuori della società di diritto, nell’illegalità , o che hanno legami con esso accettando la loro condizione. Lo stesso ambiente non appare semplicemente come insieme di elementi sullo sfondo del quale si compie l’azione, ma come parte integrante della costruzione filmica. I luoghi nei quali gli eventi prendono vita sono richiami ed omaggi a loro volta al cinema e alla cultura popolare. Basti pensare al ristorante in cui Mia Wallace porta Vincent a cena; proietta i personaggi, e lo spettatore con essi, nella Hollywood dell’età d’oro, in cui vengono resuscitati miti del passato.La cantina del negozio di Maynard, in cui Marcellus e Butch vengono sequestrati e subiscono abusi a sfondo sessuale è un chiaro richiamo ad una cultura underground, feticista e perversa; che costituisce un’altra costante nella filmografia tarantiniana. Sono personaggi anti-etici, corrotti, ma che paradossalmente seguono un proprio codice di comportamento, vivono secondo una morale condivisa dai membri del mondo a cui appartengono. I gangster caratterizzati da Tarantino non sono i classici gangster hollywoodiani, il regista infonde loro un‘aurea di normalità , di qualunquismo, quasi di banalità . Jules e Vince discutono di argomenti quanto più terreni fino a vaneggiamenti metafisici, mentre si recano in missione per conto del loro capo Marcellus Wallace. Per loro è una giornata d’ufficio come tante. Un ulteriore esempio è fornita dal linguaggio melenso e sdolcinato adoperato dai banditi Ringo e Yolanda nei momenti che precedono la rapina al Diner, i quali nell’intimità usano vezzeggiativi come “Zucchino e Coniglietta”. Tarantino depriva in questo modo il genere malavitoso della consueta tensione, riportandolo in una dimensione quotidiana. Ed è proprio questa l’ intenzione del regista, quella di mostrare il crimine, la violenza come uno dei tanti aspetti della vita, del mondo. Con il suo cinema Tarantino contribuisce a ricollocare il cinema stesso in una dimensione quotidiana, violenta, realistica. Alla domanda, come nascesse “Pulp fiction”, Tarantino ha risposto : “Dal mio amore per il filone criminale, i polizieschi, il noir. Volevo però mostrare la quotidiana banalità della violenza, che quel filone ignorava. In genere in quei film vedi uno che spara, quello che muore, taglio sulla scena seguente. In Pulp Fiction restiamo a vedere come i personaggi reagiscono di fronte alle conseguenze dei loro atti. C’è un crescendo di tensione, ma poi non te vai via, rimani lì.” In tal modo la vera violenza irrompe irrefrenabile e lacerante all’orizzonte della vita quotidiana.