Brazil – La recensione della folle distopia di Terry Gilliam

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In un futuro distopico e orwelliano, dove il lavoro e la burocrazia sono il fulcro dell’esistenza degli esseri umani, sognare è l’unica forma d’evasione possibile.

I colori che prima caratterizzavano il mondo, ora sono scomparsi e hanno lasciato il posto al grigio metallico dell’industria, tonalità asettica e fredda, rappresentazione perfetta di una società meschina e ormai incapace di provare emozioni.  Sam Lowry, eroe dei suoi sogni ed ennesimo sottomesso della realtà, si erge fuori dal coro e sentendosi soffocare dall’ambiente in cui vive, si immerge nella sua dimensione onirica, dando sfogo ai suoi sentimenti. Lowry quando chiude gli occhi, diventa la sua antitesi e indossando un’armatura scintillante, vola libero e coraggioso verso la sua lei, verso la donna che sogna da sempre e che rappresenta la sua felicità.

Una versione ricamata e fantasiosa, alternativa colorata di una realtà opprimente e soffocante. Quando Jill Layton, deus ex machina della pellicola e sosia della donna che sogna da sempre, entrerà per puro caso nell’esistenza di Sam Lowry, lo risveglierà dal suo torpore e innescherà in lui il motore della rivoluzione contro il sistema. Da sempre sottomesso e disposto ad obbedire, ora vuole vivere libero e con la sua amata.

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In una società libera l’informazione deve penetrare dovunque.

Una disperata ricerca della felicità, in un mondo spento e spoglio, che ormai ha dimenticato il senso dell’esistenza e dei sentimenti. In Brazil la burocrazia e l’ordine regnano sovrani, schematizzando e catalogando in maniera cieca e insensibile ogni cosa. Gli esseri umani non esistono più, hanno perso il loro valore esistenziale, venendo sostituiti da fogli di carta con sopra il loro nome e il loro dati anagrafici. Una sorta di “Fu Mattia Pascal” moderno dove quello che conta è sterile, cartaceo e asettico, mentre quello che viene considerato inutile ormai trova posto solo nei sogni. Brazil è una critica alla società, a quella di oggi, alla stessa che ci incatena e ci conduce a vivere un’esistenza fatta di rinunce e di obblighi, lontani dalla nostra volontà. Gilliam crea un mondo meccanico, fatto di tubi e strani circuiti, ma molto meno robotico degli esseri che lo abitano. Il tutto raggiunge il suo apice nella parte conclusiva della pellicola nella quale, Sam Lowry imprigionato con l’accusa di essere un terrorista, viene messo a conoscenza della morta della sua amata ed infine viene lobotomizzato, finendo schiavo anche dei suoi sogni.

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Questa volta ad attenderlo non ci sarà nessuna donna e nessuna armatura da indossare, ma unicamente incubi e proiezioni di una realtà da cui non potrà mai più fuggire. Senza più scopo, senza più aver modo di esprimere il suo amore, Sam Lowry o meglio l’essere umano, è destinato ad appassire ed infine a morire. Un finale crudo e spietato dove a trionfare è il sistema, il Grande Fratello, coloro che ogni giorno ci governano e ci insegnano cosa è giusto fare e cosa no. Una pellicola grandiosa capace di mescolare l’ordinario con il fantastico, il surreale con il razionale, non stonando mai nella narrazione o nella messa in scena. L’inventiva che è stata utilizzata per la creazione del mondo in cui sono ambientate le vicende , ha dell’incredibile ed ha permesso la realizzazione di un futuro distopico credibile e coeso.

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La fotografia, tendente al blu, è caratterizzata da una scala cromatica limitata e fredda, utile per enfatizzare il messaggio della narrazione e per creare un’atmosfera ancora più distaccata e meno umana.

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La regia risulta estremamente convincente, esattamente come l’interpretazione degli attori, che anche se non forniscono nessuna performance indimenticabile, svolgono ampiamente il loro lavoro. Il genio visionario Gilliam confeziona così il suo capolavoro, capace di straniare lo spettatore, inducendolo a riflettere sulla sua condizione e sul mondo in cui abita. Le cose capaci di far muovere il Sole e le altre stelle non si trovano tra i palazzi grigi e nei cassetti pieni di soldi, ma in tutte quelle cose che sono in grado di metterci delle ali indistruttibili e di farci volare verso orizzonti sconfinati, in direzione della nostra felicità.

Un invito da parte del regista a tornare ad una dimensione meno macchinosa, adita all’animo e alla sua necessità di esprimersi. Tutti noi dobbiamo preservare i nostri spazi e tenerli lontani dal consumismo e dalla burocrazia, altrimenti prima o poi ci ritroveremmo ad essere macchine prigioniere di una realtà, che non ci appartiene.