Prima dell’inizio, dopo la grande guerra del cielo contro l’inferno, Dio creò la terra e ne concesse la sovranità a quella scaltra scimmia che chiamò uomo. E per ogni generazione nacque una creatura della luce e una creatura della notte ed eserciti sterminati lottavano e perivano nel nome dell’antica guerra tra il bene e il male. Un’epoca incantata, l’epoca dei grandi. Un’epoca di eccezionale crudeltà, un’epoca eterna fino al giorno in cui un falso sole esplose sulla Trinità e il prodigio abbandonò l’uomo in balia della ragione.
Con questa mistica premessa si apre una delle serie HBO più belle e controverse di sempre, ovvero Carnivàle, apertasi e conclusasi (prematuramente, ma di questo parleremo più avanti) nel biennio 2003-2005. Due stagioni, ventiquattro puntate interamente al servizio di una mitologia estremamente complessa frutto dell’impegno di Daniel Knauf (il creatore) e di un grandissimo numero di autori (numerosi gli sceneggiatori e registi). Il prologo, affidato al volto “magico” di Michael J. Anderson – che oltre ad essere il nano di Twin Peaks è anche un bravissimo attore- ci fionda da subito nel contesto mistico-religioso della serie, delineando e affermando da subito la sua vocazione manichea. Il dubbio che non tutto possa essere diviso in due categorie così rigide (Bene e Male) è rappresentato dalle vicende della “scaltra scimmia” chiamata uomo, che tenta di proporre anche le molteplici sfumature che il manicheismo non coglie. Il gruppo di uomini e donne scelto per interpretare il ruolo di mediatore è un circo itinerante, guidato da una misteriosa Direzione e da Samson (M.J.Anderson), che viaggia attraverso gli Stati Uniti degli anni ’30, in piena Grande Depressione e Dust Bowl, ovvero una serie di tempeste di sabbia che colpirono il paese durante tutto il decennio. Il circo, che appunto si chiama Carnivàle, sarà al centro di una vicenda ben più grande delle loro vite, e i suoi componenti attraverso le proprie esperienze dovranno fare i conti con un mondo, che pur essendo intriso dalle iniquità della cruda realtà, è governato da forze che neppure i più ferventi religiosi possono immaginare.
Per essere fedeli alla struttura filosofica della serie, ci sembra giusto procedere presentando prima le due incarnazioni del Bene e del Male, ponendo, così, la base dualistica su cui poi la serie va ad agire costruendo la sua mitologia. Poi, introdurremo il terzo mondo, ossia quello degli uomini, per capire quanto questi possano sfuggire alle categorie sopracitate secondo gli autori della serie. Prima di tutto ciò, però, godiamoci l’opening in 3d Layer vincitore di un Emmy nella categoria “Outstanding Main Title Design” nel 2004.
Da come si può notare già dall’opening, la Storia umana e le forze trascendenti che la guidano sono protagoniste assolute della serie. Le immagini di repertorio che presentano i fatti storici vengono introdotte attraverso dei tarocchi, segno di misticismo e fatalità, ad indicare che ci sono forze che muovono la storia, e queste forze sono rappresentate nei due tarocchi finali, ovvero il Sole e la Luna, che come potete notare dai disegni rappresentano Dio e il Diavolo nelle comuni accezioni cristiano-giudaiche. Pur presentandosi in questo modo, all’interno della serie si affronta comunque il tema del libero arbitrio e della possibilità di sfuggire al proprio destino, deciderete voi se efficacemente o meno, sappiate solo che il creatore Knauf ha respinto fermamente le accuse di determinismo.
Detto questo, possiamo procedere a parlare delle due incarnazioni del Bene e del Male. Pur cercando di lasciare il dubbio su chi sia chi, la serie assegna i ruoli di buono e cattivo quasi da subito (quarta puntata), pertanto possiamo svelare le due incarnazioni senza rischi di sorta per la visione della serie, poiché è ben più importante non svelare cosa rappresentano all’interno delle loro rispettive fazioni, piuttosto che la loro natura in generale.
Il Bene si è reincarnato in un giovane contadino dell’Oklahoma di nome Ben Hawkins, arruolato dal circo dopo essersi imbattuto in questi mentre stava seppellendo la propria madre, morta per follia e malattia. L’iniziale resistenza da parte di Samson a raccogliere con sé lo sfortunato ragazzo, dovuta anche da una catena spezzata al piede di quest’ultimo, segno di fuggiasco, viene superata dalla ineluttabilità del fatto che il ragazzo dovesse essere accolto senza se e senza ma. Capirete poi chi impone l’inevitabile presenza di Ben. A dare il volto a questo personaggio è l’attore Nick Stahl (Terminator 3) che soddisfa pienamente con la sua interpretazione, grazie ad un inizio fatto solo di mezze parole, risposte maleducate e una recitazione piuttosto fisica che parlata (da notare la camminata che lo contraddistingue). Pian piano, quando la drammaticità della serie aumenta, Stahl riesce a far evolvere il suo personaggio in maniera molto naturale e convincente. Pur non essendo la migliore interpretazione della serie, Stahl rende il protagonista un personaggio credibile e complesso.
Il Male, invece, si è reincarnato in un pastore metodista californiano di nome Justin Crowe interpretato da un formidabile Clancy Brown (il cattivo di Highlander). La natura di questo personaggio maligno, che porta la tonaca, si può riassumere nella famosa frase del Faust di Goethe: “Ma allora chi sei tu, insomma? Sono una parte di quella forza che eternamente vuole il male ed eternamente compie il bene”.
La complessità che questa descrizione lascia trapelare è resa davvero bene da Clancy Brown, che impone la sua superba interpretazione su tutte le altre, divenendo il fulcro dell’intera serie e donando uno dei cattivi più efficaci del piccolo schermo. Alcune scene introdotte dalle sue prediche o preghiere risultano potentissime (“Guai, guai, immensa città, Babilonia, possente città; in un’ora sola è giunta la tua condanna”) e donano alla serie quell’aurea mistica-religiosa a cui non può fare assolutamente a meno, altrimenti si avvicinerebbe, banalmente, ad un fantasy qualsiasi. Pertanto, Clancy Brown è uno dei motivi più importanti che spingono a seguire la serie, e va detto, anche, che il doppiaggio di padre Justin da parte di Massimo Corvo è incredibile, e non toglie assolutamente nulla all’originale, a volte arricchendolo quasi.
La serie, quindi, segue parallelamente le storie di Ben e Justin, per poi farle convergere alla fine della seconda stagione (dalla nona alla dodicesima puntata, la seconda stagione diventa un piccolo capolavoro). Intanto, nel mezzo, si racconta la storia del circo Carnivàle e del suo rapporto con Ben. Il circo, come detto, fa da mediatore ai due estremi, rappresentando il mondo umano. Lo fa benissimo grazie a tre fattori principali: 1) il circo è composto da numerosissimi personaggi, tra cui molti di loro sono approfonditi degnamente dalla sceneggiatura, con il risultato di creare una storia corale che si contrapponga al rigido dualismo; 2) il circo è un luogo magico pieno di diversità, pieno di cosiddetti freaks, e pone una libertà di azione sui caratteri dei personaggi talmente ampia che si possono rappresentare molte sfaccettature dell’anima umana, sia ordinarie che stravaganti; 3) il circo è sempre in viaggio, questo comporta incontri, e a loro volta questi comportano nuovi personaggi e nuove storie, ciò fa in modo che la sensazione che la serie abbracci l’intera razza umana sia palpabile.
Le vicende degli artisti circensi e dei personaggi che incontrano nei loro viaggi per gli Stati Uniti hanno anche lo scopo di porre l’accento sulla possibilità che non tutto sia male o tutto sia bene, che a volte la morale è labile e che le circostanze che portano ad un gesto sono importanti. Conclusione che ne si trae, forse, è che in realtà le sfumature non reggono e che si è a volte cattivi e a volte buoni e nelle pause si è solo delle “scaltre scimmie”, non si può fare del bene attraverso cattive azioni e viceversa, secondo questa interpretazione non esiste una permanente doppia natura dell’essere umano, doppia sì, ma alternata e non assoluta ed eterna. In poche parole l’uomo non può pretendere di stare nel mezzo, le sue azioni o sono il male assoluto o il bene assoluto, quindi a fasi alterne si ritrova in una delle due categorie. Però, altri potrebbero vederci, invece, uno spazio d’azione per il libero arbitrio caratterizzato dalla possibilità di milioni di scelte, che accentuano la complessa e varia natura umana e le tante sfumature che può avere un’azione o un gesto. Ma questo è uno dei punti più dibattuti sulla filosofia di fondo della serie ed ognuno può trarne le sue conclusioni, potete accusare la serie di eccessivo determinismo oppure notarne le aperture alla libertà che gode l’uomo nel scegliere il proprio destino, ma sembra che entrambe le conclusioni coesistano per quanto inconciliabili.
Sarebbe superfluo tradurre i numerosi personaggi in nomi ed attori, vi lasciamo la possibilità di scoprirli, di innamorarvene o di odiarli. Sappiate che, comunque, la recitazione è uno dei fiori all’occhiello dello show, ed ognuno degli attori principali ha creato un personaggio solido e soggetto a simpatie ed antipatie genuine.
Per facilità d’esposizione, dato che comprende meno personaggi, va detto che la storia di padre Justin è arricchita dalla presenza di Amy Madigan (moglie di Ed Harris) e Robert Knepper (amato attore americano poco conosciuto in Europa). La Madigan interpreta la sorella di padre Justin, ed entrambi pongono in essere, con abilità, un rapporto morboso ed ambiguo. Knepper, invece, interpreta Tommy Dolan, un giornalista radiofonico interessato a padre Justin. Sia la Madigan che Knepper danno prova della loro esperienza e contribuiscono a dare solidità alla storia.
Il fascino della serie, inoltre, è relegato ad una messa in scena credibilissima. Gli Stati Uniti degli anni ’30 vengono riproposti in un tutta la loro durezza. La ricostruzione storica è stata definita ottima da numerosi studiosi, che ne hanno elogiato l’accurata raffigurazione dei trasporti, dei vestiti, delle musiche, del cibo, degli usi e costumi, delle condizioni sociali, dei temi e fatti dell’epoca. Ad esempio di ciò, basti pensare che per ricreare le frequenti tempeste di sabbia del periodo del Dust Bowl, i tecnici pompavano polvere e sabbia sul set, attraverso i tubi dell’aria, costantemente. Ne risulta una ricostruzione perfetta di quei tempi, rendendo efficace la fusione tra realtà e misticismo. Quest’ultimo rappresentato efficacemente da numerose scene oniriche dalla forte impronta lynchiana.
Proprio la complessità della messa in scena (praticamente da grande schermo) ha portato l’HBO a chiudere la serie dopo due stagioni. Infatti, ogni puntata costava alla produzione ben quattro milioni di dollari, costo ritenuto troppo oneroso per portare a termine il progetto. Quest’ultimo, era già ben definito nella mente di Daniel Knauf e tutto era progettato abbastanza approfonditamente riguardo la storyline, che prevedeva una trilogia divisa in sei stagioni. Alla chiusura del primo arco narrativo, ovvero la seconda stagione, l’HBO preferì cancellare la serie per non rischiare di doverla chiudere dopo una terza stagione e terminare davvero con una storia tronca. Pertanto, le prime due stagioni possono essere viste e accettate per quello che sono, avendo comunque un finale soddisfacente e concettualmente inattaccabile.
La cancellazione della serie ha portato ad una vera e propria rivolta dei fan di Carnivàle, che sono davvero numerosi. Migliaia di richieste furono inviate all’HBO per convincerla a non chiudere la serie, ma le seguenti trattative non portarono a nulla, poiché i creatori ritennero impossibile lavorare con un budget di due milioni a puntata, e scartarono anche l’idea di comprimere il tutto in un film di tre ore.
Incredibilmente, l’amore dei fan diede vita ad un interesse da parte degli autori a chiarire alcune cose riguardanti la serie anche dopo la sua cancellazione. Knauf in numerose interviste ha rivelato interessanti retroscena e sviluppi, ma soprattutto ha chiarito approfonditamente la mitologia della serie, che risulta davvero complessa e non di facile comprensione. Pertanto, una volta terminata la visione della serie, invitiamo ad esplorare la fornitissima pagina inglese di Wikipedia dedicata a Carnivàle, che in parte potrà soddisfare tutte le vostre curiosità. Badate che non è usuale una cosa del genere, di solito quando una serie viene interrotta essa muore con la sua cancellazione, e il fatto che Carnivàle, invece, abbia avuto il bisogno di divulgare qualche suo segreto anche dopo la fine della produzione è segno non solo di qualità ma anche di amore incondizionato da parte della gente. Se invece siete amanti dei premi, sappiate che la serie ha ricevuto sette nominations agli Emmy portandosene a casa cinque.
In conclusione, Carnivàle è una serie meravigliosa, piena di colpi di scena e immagini e situazioni emotivamente coinvolgenti, e per chi l’ha vista è sicuramente una delle migliori di sempre. La sua violenta interruzione non ha scalfito minimamente la sua grandezza, poiché, come hanno riferito molti critici americani, la serie potrebbe essere anche un grandissimo romanzo per quanto è scritta bene, quindi la traduzione in immagini è un livello in più, la storia ha vita propria e potrebbe essere trasportata in numerose forme d’arte diverse risultandone sempre un prodotto solido e unico nel suo genere. Speriamo di avervi convinto a vedere questa serie, e se non sono bastate le nostre parole, l’ultimo tentativo lo lasciamo alle immagine e alle bellissime musiche di Jeff Beal, che dimostrano quanto questa serie sia pura Poesia.