Esplorare la condizione umana è uno dei principali compiti dell’arte (plagiando senza timore Cronenberg). A volte questa “indagine” può risultare contorta ed astratta, oppure essere semplice e concreta, senza però perdere ciò che più conta: la verità. Questo dualismo pitagorico è presenti nell’arte tanto quanto in chi la crea: gli esseri umani. Creature contemporaneamente semplici e mostruosamente complesse. L’opera che tratteremo oggi rappresenta l’incarnazione di queste due facce della stessa medaglia e li comprende entrambi, in maniera unica e speciale, stiamo parlando di una serie originale Netflix, pubblicata recentemente: Samurai Gourmet.
Samurai Gourmet narra la storia di un uomo, Takeshi Kasumi che, appena raggiunta la pensione, dovrà adattarsi alle conseguenze del suo cambio di stile di vita che lo porteranno a trasformarsi, da schiavo del proprio lavoro, della routine, del giudizio altrui e delle sue paure ad uno spirito libero e temerario che lotta per la giustizia e combatte i prepotenti con la sua eccezionale dialettica (circa). Diciamo che ho romanzato l’ultima parte; “quest’uomo non è un contemporaneo samurai errante”, ci viene detto e ciò è del tutto vero. La storia, infatti, si basa proprio su come Takeshi cerchi di ricominciare e riprendersi quella vita fatta di (piccole) emozioni e sensazioni che aveva abbandonato in nome del suo dovere di lavoratore, ma che era sempre stata l’apice della propria realizzazione e che l’avrebbe portato a raggiungere lo stato di reale felicità. Per farlo però avrà bisogno di una figura d’esempio, di un maestro. Così, mentre cercherà di motivarsi per compiere le sue imprese (come bere una birra a mezzogiorno, ad esempio) vedrà un vero samurai errante e libero da ogni vincolo agire nel Giappone Feudale e compiere quelle azione che lui fatica a fare in maniera eroica.
La cucina, la voglia di viaggiare, l’amore per i propri cari sono solo alcune delle cose che guideranno Takeshi nel suo percorso di rinascita spirituale che lo porterà a ringiovanirsi più di quanto avesse potuto immaginare. Nell’esplorare le sensazioni della sua nuova vita da pensionato, Takeshi riscoprirà alcune delle passioni e delle attività che, prima di iniziare la sua vita casa-lavoro, lo rendevano genuinamente felice. Nella serie, in particolare, vediamo il nostro protagonista riscoprire la sua passione per la cucina, ma essa è solo un pretesto ed esempio per mostrarci come, pian piano, un neoliberto riesca a reimparare come vivere, laddove per anni riusciva solo a sopravvivere. Con l’avanzare delle puntate inoltre, vedremo altri tipi di attività che porteranno il nostro samurai contemporaneo a riscoprire aspetti della sua vita che in precedenza trascurava come, ad esempio, i rapporti familiari (nello specifico con la nipote e la moglie) ed anche a cercare di trovare nuovi stimoli lavorativi. Esplorare qualcosa di nuovo e liberarsi delle catene della routine quotidiana che per una vita l’hanno reso schiavo, questa è la missione di Takeshi.
Un’opera così semplice quindi, riesce a nascondere sottotesti che esplorano la condizione umana e che criticano il modello di società capitalistica giapponese, che vede il lavoratore come succube del suo proprio mestiere. Come, quindi, i grandi film di generi di autori come Hitckock, Carpenter o Romero, questa serie riesce a colmare di significato qualcosa che all’apparenza potrebbe sembrarne scarno. Astenersi quindi tutti coloro i quali vogliono qualcosa di poco impegnativo, perché seppur sia molto rilassante Samurai Gourmet offre un viaggio non privo di cose da imparare; le insegnerà, però, con dolcezza, pacatezza e sì, lentezza. Lentezza. Questo termine viene sempre usato come dispregiativo da buona parte del pubblico moderno, eppure è uno dei più grandi punti di forza di questo prodotto. Il suo ritmo compassato ci permetterà di empatizzare con il nostro protagonista e di sperimentare i suoi disagi e la sua quiete, a seconda della situazione. Non è però una serie che punta a sembrare “d’autore”, anzi, specie inizialmente, la serie sembrerà molto più banale di quanto non lo sia, soprattutto perché presenta molti momenti ironici che però non hanno lo scopo di far ridere, bensì di rendere manifesto allo spettatore di quanto buffe siano alcune reazioni ed atteggiamenti del nostro protagonista (lo specifico perché è un tipo di ironia che potrebbe essere facilmente mal interpretata).
Ritornando al dualismo sopracitato, una delle caratteristiche migliori della serie è la perfetta commistione tra forma e contenuto che, prendendo spunto dalle idee di Truffaut, si incastrano perfettamente tra loro, confluiscono le une nelle altre e sono, vicendevolmente, servi. Dalla regia alla fotografia, ad un comparto musicale stupendo, Samurai Gourmet saprà usare le caratteristiche tecniche della settima arte per incantarvi, rendervi partecipi del mood della serie, regalarvi momenti di pura poesia e tenere incollato il vostri occhi allo schermo del televisore (cosa non facile per una serie così riflessiva e che si presenta senza climax). Nota a margine: il dualismo (non a caso…) narrativo che vi è tra la realtà e quell’immaginario Giappone Feudale che funge da musa per Takeshi, è rappresentato differentemente anche da un punto di vista tecnico, il ché ne stravolge, giustamente, l’atmosfera.
In questo periodo è uscito quello che, dati alla mano, potrebbe essere la produzione Netflix più importante di sempre, ossia Tredici; il suo successo è, a parer mio, meritato per diversi fattori, eppure dispiace che abbia oscurato altre piccole perle imperdibili come Samurai Gourmet (ovviamente si spera che, nonostante ciò, vi sia una seconda stagione).
Arigatò Netflix!
I precedenti appuntamenti con la rubrica “In Sordina: Serie Tv” li trovate qui 1, 2, 3.
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