La rubrica In Sordina compie un cambio di latitudini dalla settimana precedente, ma senza cambiare tema; da Band of Brothers a The Pacific. Due serie, stessa produzione, stessa guerra, ma ambientazioni e storie differenti. The Pacific, come intuibile dal titolo, tratta le storie di alcuni Marines che combatterono durante la seconda guerra mondiale sul fronte del Pacifico, contro le armate giapponesi. La Guerra del Pacifico è spesso stata ridotta a tre eventi ben definiti: l’attacco a Pearl Harbor, le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki e la vittoria degli americani ad Iwo Jima, stampata nella nostra memoria grazie alla famosa foto dei Marines intenti ad issare la bandiera a stelle e strisce sul monte Suribachi. Ma la guerra del pacifico era molto più di questo, era un continuo resistere alle intemperie e alle malattie avvolte nella giungla più profonda insieme alle storie degli uomini che cercarono di sopravvivere in quell’inferno.
Dopo aver visto i dieci episodi di Band of Brothers, dove la guerra ha poco o nulla di glorioso e tanto di miserabile, è difficile pensare a scene peggiori di quelle proposte dal fronte europeo, ma purtroppo senza bisogno di usare l’immaginazione di peggio c’è ed è proprio il compito di The Pacific raccontare tutto quel “peggio”. Prodotta da Steven Spielberg e Tom Hanks nel 2010 per la HBO, la serie è composta da 10 episodi molto ambiziosi e intensi capaci persino di superare la serie precedente in quanto a qualità. Qualità ben visibile fin dall’opening, dove le stupende musiche di Hans Zimmer, Geoff Zanelly e Blake Neely accompagnano i movimenti di un carboncino sulla carta; un’introduzione stupenda che non avrete mai voglia di saltare.
La trama è basata principlamente sulle memorie di Eugene Sledge e Robert Leckie, autori rispettivamente di With the Old Breed e Helmet for My Pillow. In parte è stata anche ispirata da un secondo libro di Sledge intitolato China Marine, e Red Blood, Black Sand di Chuck Tatum, un Marine che combatté sotto il comando di John Basilone, la figura eroica più sfruttata durante la guerra nel pacifico. Sono proprio Basilone, Sledge e Leckie, interpretati rispettivamente da Jon Seda, Joe Mazzello e James Badge Dale, a fare da filo conduttore tra gli avvenimenti e tra i tanti soldati che combatterono al loro fianco; soldati divenuti sopravvissuti e nella disperazione diventati amici. Tra questi ritroviamo alcuni volti noti delle serie televisive attuali, con Rami Malek nei panni del caporale Merriell “Snafu” Shelton e Jon Bernthal in quelli del sergente Manuel “Manny” Rodriguez (il soprannome Snafu sta per: “Situation Normal All Fu**ed Up”).
La serie inizia proprio in seguito all’attacco a Pearl Harbor, con l’annuncio che cambierà per sempre la vita della 1° Divisone Marines, composta anche da Basilone e Leckie. Verranno inviati sull’isola di Guadalcanal, un luogo sconosciuto a gran parte di loro per combattere i giapponesi dopo l’attacco subito. Sledge potrà dare il suo contributo nella guerra solo in seguito poiché a causa di un soffio al cuore dovette rimandare l’arruolamento.
Sin dai primi episodi The Pacific riesce a veicolare un senso di smarrimento che circonda tutti i Marines; completamente inconsapevoli di cosa li stesse aspettando. Una guerra che erano incapaci di immaginare su delle isole di cui non avevano mai sentito parlare, in una fitta giungla stracolma di malaria e altre malattie. Proprio per questo la serie non dipinge la guerra come l’arte strategica dei generali dove ogni soldato può essere un eroe, ma come la lotta di uomini semplici finiti nel peggior buco del mondo. Il concetto di unità, di un gruppo che lotta come un’unica entità, così ben rappresentato in Band of Brothers, lascia spazio alle storie di tre uomini che esplorano sé stessi in tempo di guerra. Perché essere testimoni delle atrocità ed essere costantemente avvolti dalla paura può tirare fuori il peggio da alcuni soldati ma anche il meglio da altri. È così che le varie sfaccettature psicologiche di ogni personaggio portino atti di puro coraggio e sacrificio a confrontarsi con un violento e casuale razzismo nei confronti dei “musi gialli”. Ed è in questi momenti che i nostri personaggi vengono meglio delineati, come quando dopo una battaglia alcuni Marines si divertono a giocare con la vita di un giapponese a cui Leckie decide di porre fine senza infliggergli ulteriori sofferenze. Proprio Leckie è uno dei personaggi che comprende meglio di tutti quanto questa guerra sia combattuta da uomini molto più simili di quanto si possa immaginare; uomini, non individui definiti dagli stereotipi che i superiori cercano di inculcare nelle loro teste.Le stesse sensazioni si fanno strada nella mente di Sledge “Sledgehammer” Eugene, che più si addentra nell’oscurità della guerra e più fatica a vederne un senso. Soprattutto durante le battaglie ad Okinawa, dove molti civili diventarono vittime delle battaglie e molti Marine non si fecero di certo scrupoli a farli fuori, giustificati dalla cantilena che li accompagna costantemente: “We are here to kill Japs!”. È questa insensata crudeltà a segnare irreparabilmente lo spirito di questi uomini e a confermare le paure del padre di Sledge, preoccupato di vedere il figlio tornare a casa distrutto dal peso di quanto affrontato. Un punto di vista molto interessante e spesso tralasciato che non cerca di giudicare le azioni dei soldati o la guerra stessa, ma di dire che questo è quello che la guerra era. Band of Brothers trova la sua forza nella sua caratterizzazione degli individui come un gruppo unico, facendo sì che il tema della guerra diventi centrale a scapito delle storie degli uomini. The Pacific riesce a mantenere la sua accuratezza storica e il suo realismo ma focalizzando l’attenzione sulle vite di tre uomini durante la guerra, regalando un coinvolgimento emotivo allo spettatore non indifferente; una narrativa molto più cinematografica, ma non per questo meno veritiera. Non a caso proprio quando John Basilone trova l’amore, riuscendo a dare un senso alla sua vita che vada oltre al servire il corpo dei Marines, sentiamo il personaggio come reale e vicino; non per le sue gesta eroiche durante la guerra, ma per quello che lo rende un uomo come tutti gli altri.
The Pacific non vuole raccontare ancora una volta la storia di una guerra attraverso i combattimenti e le morti dei soldati, ma attraverso la sopravvivenza di questi uomini. Mostra cosa volesse dire un breve ritorno ad una vita normale nella città di Melbourne, per vivere qualche momento sfuggente di passione con una bella australiana e a vagare per le pacifiche vie della città cercando di ritrovare se stessi. Questo non significa che la guerra vera e propria venga tralasciata o mal rappresentata, anzi, la sua presenza è terribilmente spettacolare e cruda al punto da sentirla viva. Ma è in un altro aspetto della guerra che la serie colpisce nel segno, nell’agonia dell’attesa di riporre le armi. Il terrore e la persistente lotta tra pazzia e sanità mentale affrontata tutti i giorni sono inimmaginabili, soprattutto guardando una serie dal divano di casa, ma The Pacific riesce in questo senso nel mostrarci una piccola fiamma di quell’inferno. Una serie storica e biografica capace di dipingere le sofferenze e la fragilità della mente umana in situazioni estreme, senza mai dimenticare che la guerra porta con sè la sofferenza dei suoi morti, ma ancora di più quella dei suoi sopravvissuti.
P.S. Per chi fosse interessato il canale youtube di HBO offre degli interessanti approfondimenti storici sulla serie come questo, dedicato alla battaglia di Guadalcanal.