“Lasciate che chi non ha voglia di combattere se ne vada. Dategli dei soldi perché acceleri la sua partenza,dato che non intendiamo morire in compagnia di quell’uomo. Non vogliamo morire con nessuno ch’abbia paura di morir con noi […] insieme a loro non s’abbia a ricordarsi anche di noi; di questi noi felicemente pochi, di questa nostra banda di fratelli: perché chi oggi verserà il suo sangue sarà per me per sempre mio fratello e, per quanto sia umile di nascita, questo giorno lo nobiliterà (Enrico V, W. Shakespeare)
Per la quarta puntata della nostra rubrica In Sordina-serie tvandremo ad analizzare Band of Brothers, una miniserie HBO del 2001 prodotta da Steven Spielberg e Tom Hanks che, a tutti gli effetti, è uno spin-offdi Salvate il soldato Ryan. Le dieci puntate che compongono questo ambizioso lavoro cercano di ricostruire lo sbarco in Normandia (D-day) e le successive campagne belliche sul fronte occidentale attraverso le esperienze e i ricordi degli uomini che hanno combattuto fianco a fianco (la cosiddetta “Grande generazione”) in una guerra che, con le sue novità tecniche e i suoi numerosi fronti, è risultata una delle più difficili e dure. Per entrare nel clima immergiamoci nelle bellissime musiche composte da Micheal Kamen (Brazil, Robin Hood-il principe dei ladri, Arma Letale):
Il soggetto della serie non è basato su materiale originale, ma sul saggio storico di Stephen AmbroseBand of Brothers: E Company, 506th Regiment, 101st Airborne from Normandy to Hitler’s Eagle’s Nest, e come è intuibile dal titolo del saggio parla di una specifica compagnia dell’esercito americano, ovvero la compagnia Easy del 506° reggimento di Fanteria Paracadutisti, 101ª Divisione Aviotrasportata. Lo spettatore assiste alla storia di questo gruppo di Parà dal duro allenamento fino alla presa del Nido dell’aquila sulle Alpi bavaresi, passando per lo sbarco in Normandia e la terribile battaglia di Bastogne.
La miniserie è una ricostruzione storica fedele e suggestiva che coinvolge dai primi minuti, adagiandosi sulla linea che divide la fiction dal documentario. A questo proposito, bisogna dire che ogni puntata si apre con le interviste ai sopravvissuti della gloriosa compagnia (tratte dal documentario We Stand Alone Together), ove ogni volta vengono esortati a parlare di un argomento o fatto specifico di quegli anni. Si ricordano i duri allenamenti, il caotico e sanguinoso sbarco in Normandia, l’importanza del ruolo del leader in questi avvenimenti, della paura, della crudeltà, della giovinezza mandata a sfiorire, dei traumi che la guerra lascia e del profondo cameratismo che unisce i soldati in guerra.
Per non cadere in una facile retorica, Band of brothers rinuncia a voler essere una serie che parla esclusivamente della seconda guerra mondiale e tenta di essere una serie che parla di uomini messi di fronte ad una situazione estrema, situazione, però, rivestita da ideali e motivazioni discutibili (come possono essere quelli che muovono alla guerra), che non nascono dal cuore di ogni soldato, la cui convinzione dell’ideale pian piano viene dissipata dalle nefandezze della guerra, ma imposti da chi questa guerra l’ha voluta senza però combatterla personalmente, se non dall’alto di uno scranno e circondato da comodità. Tale convinzione è espressa benissimo nel riuscire a non cadere nella pomposa retorica che fa delle truppe alleate simbolo di libertà e ultimo baluardo della democrazia, ma, invece, con grande abilità di scrittura, la serie tenta di abbracciare gli uomini tutti, che siano alleati o tedeschi, senza differenze di sorta se non l’esercito d’appartenenza, e quindi non sorprende che il primo atto di crudeltà che si vede sia fatto da un soldato americano, o che la faccia spaventata e disillusa sia di un ragazzo tedesco e non di un alleato, o che, addirittura, il discorso finale sul concetto di banda di fratelli venga lasciato ad un generale tedesco che congedando i suoi uomini, ormai catturati proprio come lui, esprime l’intera filosofia della serie in un tedesco rotto dall’emozione, lasciando così comprendere che in guerra non ci sono cattivi ma solo individui che combattono per conto di qualcuno e quasi mai per qualcosa.
Questo non vuol dire che non si rifletta sulla crudeltà dell’ideologia nazista, rappresentata dalla scoperta di numerosi campi di concentramento durante l’avanzamento alleato, ma si cerca di mitigare le questioni generali per concentrarsi meglio sul singolo soldato che venti gradi sottozero vigila in una trincea circondato da un bombardamento. Difatti, ciascuna puntata si concentra su un singolo individuo che con la sua percezione presenta allo spettatore l’intero contesto. Allora, troviamo il punto di vista del medico del fronte, del comandante di battaglione, del semplice soldato, del civile, e mai dei leader dei paesi in guerra o dei colonnelli, rinunciando così anche ai punti di vista dei “pezzi grossi”, che pur essendo tali, hanno preso parte alle manovre belliche, come Patton ed Eisenhower.
La decisione di presentare solo i punti di vista dei combattenti veste di dignità storica l’intera miniserie, che così dona, alle nuove generazioni occidentali prive di conflitti bellici, una preziosa testimonianza di ciò che è davvero la guerra, rinunciando ai luoghi comuni che vogliono che quest’ultima sia evocatrice di orgoglio, dovere, coraggio, atti eroici e ricompense, che sembrano adatti più a descrivere la Resistenza che il conflitto tra paesi.
Ovviamente una serie che parla di uomini deve parlare di questi attraverso mille sfaccettature, come impone la diversità che incorre tra un individuo e l’altro. Tale impostazione può essere resa al meglio solo attraverso l’utilizzo di numerosi personaggi, che spesso può essere una trappola che porta alla dispersione, ma che, in questo caso, è posta con abilità, portando lo spettatore a riconoscere tutti i combattenti ed affezionarsi ad ognuno di loro. Se all’inizio sembra quasi impossibile seguire i numerosi nomi e le altrettante facce (dato che non tutti i personaggi appaiono in tutti gli episodi), pian piano ci si fa il callo e si entra in un ritmo serrato che ingloba lo spettatore nel triennio 1942-1945. Tutti i personaggi, quasi nessuno secondario, appaiono saltuariamente all’interno delle dieci puntate ma vengono tutti approfonditi adeguatamente, riuscendo a fare della miniserie una delle prove corali più difficili da eseguire della storia della televisione. Per mitigare il senso di confusione, comunque, la serie ha una sorta di protagonista, ovvero il maggiore Richard D. “Dick” Winters (prima capo dell’Easy e poi capo dell’intero battaglione) interpretato dal bravissimo Damian Lewis (Homeland, Billions) a cui gli autori ricorrono spesso per dare ordine all’intera vicenda. Tralasciando la questione del protagonista, bisogna dire che ognuno dei personaggi meriterebbe un articolo dedicato, dato che ognuno di essi è importante per la ricostruzione dei fatti. Quando vedrete la serie, capirete come sia vero ciò che sosteniamo, e sicuramente molti di voi ameranno o odieranno tutti i soldati, tra cui (citando quelli interpretati da attori più conosciuti) il sottotenente Lipton (Donnie Wahlberg), il capitano Lewis Nixon (Ron Livingston), il capitano Herbert M. Sobel (David Schwimmer), Lynn “Buck” Compton (Neal McDonough), il sergente Denver “Bull” Randleman (Michael Cudlitz), il tenente Jack E. Foley (Jamie Bamber), il soldato Donald Malarkey (Scott Grimes), David Kenyon Webster (Eion Bailey) e tanti altri di cui riconoscerete le facce appena guarderete la serie, come il “bimbo sperduto” James Madio (il soldato Frank Perconte), Frank Hughes (il sergente William “Wild Bill” Guarnere), George Luz (Rick Gomez), Richard Speight Jr. (Warren “Skip” Muck) , Dexter Fletcher (John Martin). Inoltre, una delle curiosità della serie è quella che la vede come trampolino di lancio di tre attuali star (seppur appaiano poco) come Michael Fassbender, James McAvoy e Tom Hardy. La prova corale che regalano questi attori, accompagnata da altri di cui non si è fatto menzione per motivi di spazio, è perfetta, tanto da portare a credere che essi siano veramente i soldati che combatterono la guerra, espediente, questo, rafforzato dal fatto che i nomi dei veterani che compaiono all’inizio di ogni puntata verranno svelati solo alla fine, lasciando allo spettatore il compito di riunire le facce degli attori con i corrispettivi personaggi reali terminata la visione.
La bellissima prova attoriale viene coadiuvata da una ricostruzione storica volta a presentare il tutto nei minimi dettagli (la ricostruzione dell’arsenale e dei mezzi bellici ne è un esempio) e da un uso del computer lieve ma decisivo e quasi mai invasivo, aiutata da una fotografia che evoca i filmati di guerra, rendendo il tutto perfettamente realistico. Inoltre, se si pensa ai numerosi registi e scrittori che hanno contribuito alla creazione della serie (tra cui figura lo stesso Tom Hanks), è ammirabile sia la linearità che la storia riesce a mantenere sia la differenza di ogni autore e regista a dare una propria visione delle tecniche con cui si gira un film di guerra. Senza girarci intorno, va detto che Band of brothers non è una serie facile da guardare, sia per la lunghezza delle puntate (alcune superano l’ora) sia per la complessità dell’argomento che spesso rasenta il tecnicismo e che porta ad approfondire alcuni punti attraverso dei testi o internet, pena il non capire delle cose legate alle manovre militari o ai luoghi di combattimento. Questo è uno scoglio che invitiamo a superare, poiché la miniserie è davvero di altissimo livello, considerata dalla critica una delle migliori di sempre (19 nominations agli Emmy tra cui 6 vinti, un Golden Globe come miglior miniserie e un premio dell’American Film Institute) e la cui poca fama tra il pubblico è spiegabile solo perché è stata distribuita in un periodo di tempo particolare, ovvero quello del limbo televisivo creatosi tra la nascita di Twin Peaks e quella di Lost.
Detto ciò, comunque, queste difficoltà sono superabili, dato che la serie riesce ad equilibrare accuratezza storica e intrattenimento televisivo egregiamente, aiutata anche dal fatto che la Storia spesso propone eventi ben più interessanti e coinvolgenti della Fantasia. A dimostrazione di ciò basta pensare che nei primi minuti dello sbarco in Normandia fu spazzato via il 90% dei 1.450 soldati americani sbarcati sulle spiagge, o che il primo soldato americano che incontrò una donna normandina la sposò. Neppure una mente dedita all’immaginazione più vivace potrebbe partorire molti di questi accadimenti storici.
In conclusione, vedete Band of brothers e diteci se non è uno dei prodotti televisivi più belli che abbiate mai visto.