Dolls – Le marionette di Takeshi Kitano

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Presentato alla 59ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, il 7 settembre 2002.

Dolls si apre con una performance teatrale di marionette”Bunraku Meido no Hikyaku” (“I Messi dell’Inferno“) di Chikamatsu Monzaemon.

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Un’avvilente malinconia avvolge la storia di tre coppie giapponesi che differiscono e si somigliano al contempo, saldamente connessi e legati da un filo rosso come marionette (appunto) che simboleggia una passiva alienazione al fluire della sorte, della vita. L’irrazionalità di un amore che la società moderna forse ha dimenticato.

Matsumoto e Sawako sono la prima coppia. Lui costretto dalla famiglia a sposare un’altra donna. Lei tenta il suicidio tramite un’overdose di medicinali. Dai deliri postumi del tentato suicidio di Sawako si avvierà una vera e propria evoluzione retrograda di entrambi. Un amore pronto all’oblio. I loro corpi vagano in una vera e propria situazione di stallo esistenziale, esattamente come la pallina rosa che oscilla dal giocattolo di Sawako e il filo rosso che li avvolge.

Un vecchio boss della Yakuza, Hiro, ricorda i bei vecchi tempi e la donna con cui si ritrovava ogni sabato su una panchina. Tornato dopo trent’anni scoprirà che lei è ancora lì ad attenderlo per dividere il pranzo, inconsapevole della sfortunata sorte che li colpirà, ancora.

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Haruna è una giovane popstar. Nel momento di massimo splendore (mediatico) della sua carriera l’infausto destino busserà alle sue porte ed un tragico incidente le deturperà il viso. Devastata dal dolore scompare dalle scene. I tormenti di Haruna diventeranno quelli del suo più grande fan che si accecherà guardando una sua foto.

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Il flusso narrativo coesiste parallelamente con quello delle stagioni dell’anno con cui Kitano colora e decora una fotografia stupenda, dove il tempo scorre e l’amore diventa senso.
L’unico senso possibile in una parabola quasi iperrealistica che accetta l’attesa della morte a patto di liberarlo dall’infausto destino: in Dolls la pazzia è paradossalmente il senso, la pretesa di mettere da parte uno sguardo ad una possibile quotidianità ormai spenta e plumbea. La pellicola si colora di follia e la malinconia diviene poesia, testimoni di una felicità nascosta che si palesa unicamente 
nelle misteriose equazioni dell’amore folle.

Un viaggio attraverso le quattro stagioni dell’anno, attraverso la più profonda parte dell’individuo. L’inversione totale delle consuetudini, il volo pindarico di due amanti che scelgono la venuta della morte o il riluttante rifiuto alla ragione. Lo stesso Freud teorizza un dualismo tra pulsioni di vita e pulsioni di morte, personificate da Eros e Thanatos. Questa alchimia tra pulsioni e la tendenza autodistruttiva sono necessarie, per Freud, all’esistenza umana stessa.

Kitano in questo inquieto quadro di corpi inanimati e svuotati dipinge una fotografia pregna di cromatismo: tra il rosso dei fiori di ciliegio e il colore dei vestiti di Sawako incorniciato dal bianco candido della neve.
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Queste tre storie di amanti che hanno perso la ragione tuttavia conservano una dignità oramai misconosciuta da una società che difatti promuove disvalori come il successo, la ricchezza materiale o meramente il mantenimento di uno status quo, come uniche ed imprescindibili aspirazioni.
Un racconto metaforico che cinge vita, destino, amore e morte attraverso la personificazione delle marionette Bunraku, le stesse della sequenza iniziale e le stesse che ci accompagneranno sino all’epilogo di questa dolce e crudele poesia.
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