“Non tutti nella capitale sbocciano i fiori del male” cantava De André cinquant’anni fa. Questa frase mi è saltata alla mente entrambe le volte che ho visto la miniserie Top of the lake, che più che essere un thriller è un trattato sociologico sulla cittadina, o se preferite potete usare il termine provincia. Un viaggio sociologico sui rapporti di potere, sulle relazioni sociali, sui torbidi segreti che caratterizzano questi piccoli agglomerati urbani. Inoltre, in Top of the lake non solo si parla di una cittadina di provincia, ma addirittura di una che sta nella provincia del mondo, ovvero la Nuova Zelanda. Grazie all’ambientazione, vera protagonista della serie, tutti i luoghi comuni della piccola città (che spesso non sono veri, ma come dice un film a volte i luoghi comuni aiutano nel delineare le caratteristiche di un soggetto/oggetto) vengono esasperati attraverso la sua collocazione, immersa in una natura selvaggia e lontanissima dai grandi centri urbani (pensate che la città dove trovare i servizi più importanti non è neppure Wellington ma Sydney, cioè in un altro stato).
La serie è del 2013 ed è arrivata in Italia l’anno dopo su Sky, che dopo averla trasmessa la inserì nella suo catalogo onDemand, quando ancora era leader nel settore. Proprio in quegli anni la piattaforma satellitare propose molte serie davvero interessanti e alcune di esse anche abbastanza vecchie, e spulciando il catalogo si trovava davvero molto materiale che ora sembra davvero adatto a questa rubrica. Oltre a Top of the lake, parleremo nelle prossime puntate, ad esempio, anche di Carnivàle (2003-2005) e Band of brothers (2001) portate nuovamente alla luce proprio da Sky. Top of the lake fu la prima serie che vidi sulla piattaforma onDemand e ne rimasi colpito dalla capacità di questa a rimanere impressa nella mente.
Top of the lake è frutto della collaborazione tra Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti ed è stata scritta dal premio Oscar Jane Campion (Oscar alla migliore sceneggiatura originale nel 1994 per Lezioni di piano) insieme a Gerard Lee. Anche la regia è frutto di una collaborazione tra la stessa Campion e Garth Davis fresco di successo per il suo ottimo debutto cinematografico con Lion interpretatato da Dev Patel. Anche per la fotografia la scelta è stata orientata dalla volontà di avere un esperto fuoriclasse, ciò soprattutto perché la serie si fonda principalmente sul pathos che donano i luoghi. Adam Arkapaw come direttore della fotografia è stata una scelta azzeccatissima grazie ai precedenti ottimi lavori fatti per True detective, Macbeth, Assassin’s Creed e Animal Kingdom. Arkpaw concentra tutta la sua arte nel valorizzare i bellissimi luoghi della Nuova Zelanda principalmente Queenstown, Glenorchy e Moke Lake. La fotografia è ampia e luminosa e cerca di abbracciare l’intero orizzonte in numerose scene dall’alto, e il risultato raggiunge le vette di grandi documentari naturalistici, esaltando montagne, laghi, boschi, distese di sale immergendo lo spettatore in un giardino dell’Eden contemporaneo che non si arrende al passaggio dell’uomo. Parliamoci chiaro, se Top of the Lake fosse stato ambientato in un altro luogo avrebbe perso il cinquanta percento del suo fascino. A sostegno di questa tesi cito il tagline della serie: “un luogo straordinario. Un crimine straordinario“.
Ovviamente la cura dell’ambientazione non poteva non essere accompagnata da un cast di tutto rispetto. La parte della protagonista, il detective Robin Griffin, è stata affidata alla pluripremiata attrice statunitense Elisabeth Moss ormai famosissima dopo l’ottima interpretazione di Peggy Olson in Mad Men. Nel ruolo del capo della polizia Al Parker troviamo David Wenham il Faramir del Signore degli anelli, mentre per il ruolo della leader di un gruppo di femministe trasferitesi nella stupenda Paradise,un luogo fin troppo evocativo del topos Adamo ed Eva, è stato affidato alla bravissima Holly Hunter ormai vera attrice feticcio di Jane Campion e vincitrice dell’Oscar come migliore attrice nel 1994 proprio con Lezioni di piano. Infine, dona alla serie un’interpretazione superba Peter Mullan (Red Riding Trilogy, I figli degli uomini, Trainspotting) nei panni del signore padrone della cittadina Matt Mitcham. I protagonisti vengono accompagnati da bravissimi comprimari che non abbassano mai il livello di drammaticità che la storia richiede. Da citare soprattutto i ragazzi Jacqueline Joe (Tui Mitcham) e Luke Buchanan (Jamie), bravissimi a reggere due ruoli certamente non facili, poiché la serie tenta di analizzare e mostrare la vita di ragazzini in un contesto non semplice, tartassati dalle iniquità degli adulti, dalla fretta di crescere dovuta all’esistenza in un mondo selvaggio, dalla esasperante vita di provincia e da un contesto violento e ipocrita.
La serie si apre proprio con la piccola Tui immersa fino alla vita in un lago ghiacciato, poiché sta tentando di sopprimere una gravidanza indesiderata, tanto come può esserla quella di una bambina di dodici anni. Il fatto aprirà un vero e proprio vaso di Pandora che travolgerà con il suo contenuto l’intera cittadina, mettendone in mostra i torbidi segreti e le discutibili attività. La polizia del luogo approfitta della presenza della detective Robin Griffin, ritornata a casa dopo molti anni per accudire la madre malata, per affidarle il caso. In un paese dominato da uomini alpha, la polizia preferisce affidare ad una donna gli interrogatori alla già traumatizzata bambina, non tanto per sensibilità ma per pura incapacità nel gestire la situazione. La questione femminile, il femminismo e la condizione della donna in generale è un altro tema centrale della storia ed è affrontato da più punti di vista e mostrato attraverso diverse situazioni. La condizione delle donne del paese è rappresentato dalla gravidanza della piccola, sono pari all’uomo solo nel lavoro duro che il luogo selvaggio offre, ma sono poco meno che oggetti in tutti gli altri contesti, altrimenti non si spiegherebbe neppure come una dodicenne possa restare incinta. L’impatto, infatti, con una donna del luogo tornata come un detective stimato, una donna di potere non è dei più semplici, Robin Griffin è la dimostrazione di come possa dare fastidio ad un uomo ignorante una donna di successo brava nel suo lavoro. Altro punto di vista della condizione femminile è rappresentato dalla comunità di donne appena trasferitesi in città con a capo l’ascetica Holly Hunter (GJ), che con le sue lezioni spirituali cerca di guidare le donne della comunità verso un’esistenza libera dalle oppressioni dei loro compagni e soprattutto di alleggerirle dal loro difficile passato attraverso l’arma più potente, ovvero l’accettazione delle esperienze, soprattutto quelle negative. Immancabilmente queste riflessioni vengono accompagnate dall’analisi della condizione dei ragazzi, poiché se le donne sono oppresse i primi a soffrirne sono i giovani che perdono la guida principale, ovvero le proprie madri, le proprie sorelle. E se questa assenza è provocata dagli uomini, allora i ragazzi sono lasciati a se stessi, in balia di un mare in tempesta senza porti in cui approdare, senza fari da seguire. L’intreccio di queste dinamiche accompagnano il thriller che fondamentalmente scoppia quando la piccola Tui svanisce nel nulla, coinvolgendo la detective in un caso che la prende profondamente fino a metterla in ginocchio.
È tutto torbido in Top of the lake, nulla è mai come sembra, i personaggi positivi si contano sulle dita di una mano e si prova profondo disagio nel guardarla, poiché quando un prodotto cinematografico o televisivo scava profondamente nella realtà delle cose, facendolo anche bene, solo disagio e riflessione può portare. Forza dello show è proprio questo scavare, interrogare, analizzare la cruda realtà confezionando il tutto in un ambiente mozzafiato e suggestivo, quasi a dimostrare l’armoniosità della natura rispetto ai claudicanti tentativi dell’essere umano di organizzarsi in comunità armoniosa.
Ai critici la serie non è passata inosservata, è al pubblico che è quasi sconosciuta. A dimostrazione di ciò basta guardare ai numerosi premi vinti dalla serie: otto candidature agli Emmy tra cui quella di migliore miniserie, miglior sceneggiatura di una miniserie, miglior casting, miglior regia. La vittoria, però, arriverà solo per la miglior fotografia di una miniserie ad Adam Arkapaw. Ai Golden Globe trionfa Elisabeth Moss come miglior attrice, mentre ai BAFTA sfiora la vittoria per la miglior regia di una miniserie. Infine, agli Screen Actors Guild Awards ottengono due nomination Elisabeth Moss e Holly Hunter, mentre Peter Mullan vince meritatamente un Astra Awards (i premi per la televisione e la radio australiani) come miglior attore in una miniserie. Traguardi di altissimo spessore.
V’invito caldamente a recuperare questa serie, principalmente per la grande qualità ma anche perché da poco è stata annunciata una seconda stagione (che sarà proiettata pure a Cannes) a ben quattro anni di distanza. La stagione s’intitolerà Top of the lake: China Girl ed Elisabeth Moss rivestirà i panni di Robin Griffin. Inoltre, è stata confermata nel cast la presenza di Nicole Kidman che sicuramente alzerà, con la sua presenza, ancora di più l’asticella dello show. Sperando di avervi convinto a recuperare la prima stagione, vi lascio con il poster della seconda, reso noto da pochissimi giorni. Buona visione! e vi aspettiamo per la quarta puntata di In sordina (Serie tv)!