Avrei voluto vivere un pomeriggio pieno di emozioni, in fin dei conti mi stavo recando ad incontrare Louis Garrel. Avrei voluto aprire questo articolo dicendo che l’accoglienza è stata stratosferica, che tutto è andato come doveva andare e soprattutto che l’organizzazione è stata impeccabile. Purtroppo non è andata così. Arrivato presso Villa Medici mi sono messo in coda.
Nonostante molte comitive francesi fossero in fila da ore non hanno avuto accesso alla villa poiché l’organizzazione ha arrancato la scusa che non c’erano posti, che c’era troppa gente. Premesso che non si poteva prenotare, dunque l’unico modo era mettersi in coda e sperare di riuscire ad entrare.
L’incontro:
L’incontro si è svolto all’interno di Villa Medici a Roma, una delle strutture d’eventi del festival del cinema Rendez-Vous, finestra in Italia per la presentazione di film francesi che sta conquistando sempre più pubblico. Partiti con il classico applauso il timido Garrel si è spinto fino alla sua sedia. Cappello in mano, sigaretta elettronica nell’altra. Il ragazzetto che è diventato famoso con The Dreamers di Bernardo Bertolucci ora è diventato uomo, ora si sente maturo, ora è regista Garrel. L’intervista si è svolta in parte in italiano, l’attore (pardon, il regista!) parla perfettamente italiano. Louis Garrel era al Rendez-Vous per presentare il suo ultimo film in cui ha recitato, Planetarium, insieme alla regista Rebecca Zlotowski.
Come nasce la tua passione?
Louis Garrel nasce all’interno di una famiglia di cinema, lo mastica fin da quando era piccolo. A teatro la sua esperienza adolescenziale gli è servita moltissimo anche a sviluppare il suo amore per il cinema.
Les Deux Amis, tuo lavoro da regista, omaggi Bertolucci in molte scene. Che ricordi hai di The Dreamers?
Risponde con un sorriso, uno sguardo nostalgico. Quasi a ricordare quei momenti di assoluta libertà datagli anche dal’età: era appena 18enne. Oltretutto, con The Dreamers ha avuto modo di partecipare (seppur in ambito cinematografico) a quei movimenti che da sempre hanno accompagnato la sua vita. Il padre, un rivoluzionario sessantottino ha fatto ciò che lui ha rifatto sullo schermo. Anche Garrel ha cercato sempre di partecipare alle manifestazioni ma non c’era quella voglia di fare nata nel ’68. Successivamente a The Dreamers ha girato un film con il padre, sempre ambientato nel ’68, divenendo di fatto un’icona del passato: “Ma io vivevo nel presente”. Una sorta di maledizione del 68, attore destinato a lanciare sanpietrini.
Cosa ti fa scegliere un film piuttosto che un altro?
La scelta dei film che interpreta non è molto razionale. Dipende da moltissimi fattori.
Parli perfettamente italiano, com’è il tuo rapporto con l’Italia e con Bertolucci?
L’Italia gli piace per il fatto che il mestiere dell’attore è visto in maniera positiva, al contrario della Francia. Gli italiani sono un popolo d’attori che recitano sempre, lo disse Orson Welles. In Italia dice ad alta voce di fare l’attore, in Francia no. Bertolucci è stato il suo mentore, non potrebbe mai cambiare la visione che ha di quel regista. Bertolucci è e rimane Bertolucci.
Le citazioni che possono essere trovate all’interno del film Les Deux amis di Louis Garrel sono molte e spesso il suo sguardo è rivolto all’Italia e ai suoi miti del cinema come Antonioni, Fellini e soprattutto il suo quasi mentore Bertolucci. Inoltre parla del menage a trois ribadendo che ormai si associa sempre più spesso il cinema francese all’incontro a tre, al triangolo amoroso consumato nello stesso posto. Ribadisce che sono molti i film con scene di menage a trois senza che questi siano necessariamente francesi.
Alla fine dell’incontro, dopo aver ripreso il cappello e il suo fido vapo Garrel si è diretto verso l’uscita in un bagno di folla. Ha rivelato che l’attuale direttrice di Villa Medici è stata la sua “professora”, per dirla come ha detto Garrel. Questo attore credo sia uno di quegli interpreti che portano con sé un grossissimo timbro, quello di Bertolucci; e al contrario della controparte bionda Pitt lui non è riuscito a uscire da quella pesante pelle di Théo. Forse perché preserva tutto il francese possibile e immaginabile. Traspare francesità in ogni movimento e inesorabilmente la mente, nel guardarlo, ci riporta a quell’appartamento francese in cui si sono consumate le più sconce fantasie sessuali sul corpo di Eva Green, maitresse crudele ma sensibile allo stesso tempo.