Nel mare magnum delle serie tv, che ogni anno si ingrossa con tonnellate di nuovo interessantissimo materiale, è facile perdersi delle perle specialmente se si tratta di opere la cui natura contrasta con le luci dei riflettori. A questo serve la nostra rubrica In sordina, dove le Scimmie vanno a recuperare pezzi pregiati da riscoprire.
Questa settimana presentiamo Bored to Death, serie in tre stagioni scritta da Jonathan Ames, che darà anche il nome al protagonista, e prodotta nel 2009 da HBO, da anni simbolo d’eccellenza in materia di serie tv americane.
In sordina: Serie Tv – Bored to Death
“Non sono bravo con la rabbia, passo direttamente alla depressione“
Prendete la vicenda di Edipo. Coprite con un alone di pessimismo cosmico supportato da continui rimandi alla psicanalisi. Sostituite il coraggioso eroe greco con uno scrittore trentenne newyorkese le cui battute potrebbero comodamente uscire dalla bocca di Woody Allen. Ambientate la storia in una Brooklin super gentrified dove l’unico traffico è quello dei passeggini che si ammassano fuori dalle caffetterie biologiche, equo solidali, a chilometri zero. Mescolate con due amici allucinati che sembrano usciti da un racconto di Carroll, un fumettista burbero e infantile con un ricco catalogo di deviazioni sessuali e un gentiluomo sessantenne annoiato dalla vita, alla costante ricerca di qualcosa che lo intrattenga o lo storidisca. Tre bambini mai cresciuti a formare una famiglia pennacchiana per contrastare i nemici dell’uomo moderno, noia, fallimenti professionali e donne indipendenti.
Jonathan Ames (Jason Schwartzman) è uno scrittore leopardiano, di quelli che prendono tutto il loro sapere dai libri e non da vita vissuta. Dopo un esordio incoraggiante Jonathan fatica a produrre il suo secondo romanzo ed è appena stato lasciato dalla ragazza frustrata dai vizi, nello specifico marijuana e vino bianco, del compagno.
“Devi soffrire molto per la terrificante chiarezza della tua visione”
All’apice dello sconforto la copertina di Farewell my lover di Raymond Chandler spunta da una pila di libri per suggerire a Jonathan la svolta, diventare investigatore privato. Ma come raggiungere i potenziali clienti bisognosi di aiuto? Elementare, con un annuncio su Craigslist, il mitico sito di tuttologia americano, dove Jonathan si propone come PI senza licenza ma dai costi ragionevoli. Irresistibile per clienti in cerca di convenienza e disposti a rischiare sul fronte qualita’ del servizio.
Una serie di casi, tutti a sfondo relazionale, che danno a Jonathan e ai suoi compari l’occasione di evadere dalla quotidianità e immergersi nella vita reale per scoprire cosa veramente affligge gli esseri umani.
“Le vite non cambiano, diventiamo semplicemente più consapevoli della nostra miseria…che è una forma di felicità”
Caratteristica inconfondibile e costante in tutte e tre le stagioni è la leggerezza con cui qualsiasi situazione si svolge. Ogni crimine, furto o ricatto ha i toni di un litigio all’intervallo nel cortile di una scuola elementare senza mai capire se questa sia l’effettiva realtà o solamente la visione stoned dei protagonisti. I malintenzionati non fanno mai paura, anche quando puntano una pistola, e per risolvere ogni mistero basta condividere con loro le proprie sofferenze, trasformando ogni scontro in una bizzarra sessione di terapia di gruppo dove liberarsi dei propri turbamenti e citare i propri autori preferiti.
È soprattutto la comunicazione da uomo a uomo a caratterizzare le sedute, in un labirinto amletico che vede maschi eternamente indecisi, che solo tra di loro riescono ad esprimere i propri veri sentimenti, che fuggono da femmine troppo pragmatiche e determinate che non hanno tempo per ascoltarli.
Altro elemento sorprendente della serie è il legame che si crea con lo spettatore grazie alla natura dei casi sottoposti a Jonathan. Non solo lui li approccia con stile “fai da te”, facendoci sentire tutti in grado di diventare detective per hobby in pochi minuti, ma anche i clienti e i malfattori non hanno veramente nulla di noir, trattandosi quasi sempre di mariti disperati o bambini a cui hanno rubato lo skateboard. In Jonathan Ames si può ritrovare il realismo che caratterizzava il Walter White delle prime serie di Breaking Bad, in uno script che non crea evasione artificiale in mondi improbabili ma tramite lo strumento narrativo della vita parallela offre spunti di riflessione sulla quotidianità.
“È bello stare all’oscuro delle cose, mantiene la vita interessante”
Come in molte serie tv di successo, Bored to Death non si basa su un netto character piece ma è più un ensemble, con 3 protagonisti che crescono lungo le stagioni affrontando la vita e le proprie nemesi, incarnate da veri e propri personaggi della serie disegnati specularmente. Jonathan è un giovane fastidiosamente educato e gentile, il classico bravo ragazzo di buona famiglia che si scusa troppe volte e non conosce aggressività. Il suo antagonista è Louis Greene, intellettuale spocchioso e represso il cui unico divertimento pare essere il massacro dell’ego di Jonathan. Le avventure del detective Ames non induriscono Jonathan ma lo istruiscono alla vita dandogli quel tocco di marciapiede necessario per penetrare pienamente la vita e raccontarla nei suoi romanzi. Un ruolo perfetto per Jason Schwartzman, che torna ad emozionare il pubblico con un personaggio simile a quelli interpretati nei film di Wes Anderson.
“Voglio essere l’unico bambino nella vita di una donna”
Ray Hueston (Zach Galifianakis) è un fumettista squattrinato che viene mantenuto dalla compagna in attesa che la sua opera “Super Ray”, basata su un super eroe che combatte il male col suo pene gigante, raggiunga il grande pubblico. Le avventure di Super Ray traggono ispirazione dalla vita di tutti i giorni, compreso il super cattivo Exacto-Man (interpretato dallo scrittore della serie, “il vero” Jonathan Ames) che lo accoltella ad una convention di nerds. Tipico personaggio di Galifianakis, Ray è un bambino barbuto e rotondetto che sfoga le proprie perversioni sessuali nella sua opera artistica e appare confuso sui ruoli elementari della vita, soprattutto quello della sua compagna che troppo spesso confonde con una madre with benefits da cui ottenere protezione e favori sessuali.
“Gli uominin affrontano la realtà, le donne no. Per questo abbiamo bisogno di bere”
George Christopher, interpretato da Ted Danson leggendario protagonista di Cin Cin, è il direttore sessantenne della rivista di newyorkese “Edition”. Annoiato a morte da quarant’anni di vita sociale nella grande mela e asfissiato dal suo stesso narcisismo, George si rifugia nella mariujana e nella compagnia di Jonathan per trovare sollievo. La nemesi di George, l’editore di GQ Richard Antrem, ha i tratti imponenti di Oliver Platt (il dr. Rupert dell’Uomo bicentenario) e scimmiotta costantemente il rivale/mentore in ogni sua iniziativa, con migliori risultati ma senza l’inconfondibile charm di Mr. Christopher. Ruolo cucito ad arte su Danson, il personaggio di George ruota tutto intorno alla prospera, quasi smodata, vita sessuale che gli dà più energia e gioia di vivere dei suoi giovani amici ma allo stesso tempo lo destabilizza gettandolo nel senso di colpa.
Immancabili nelle serie tv HBO i cameo d’eccezione, uno su tutti Jim Jarmusch nella prima serie.
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