Vi abbiamo parlato ampiamente degli innumerevoli lavori cinematografici tratti dai libri di Stephen King in tre interessantissimi articoli usciti in queste settimane (Parte I, Parte II, Parte III), qui, invece, cercheremo di approfondire l’analisi sull’ultimo di questi lavori, ossia 22.11.63.
22.11.63: save JFK! – Recensione
Come il titolo ricorda attraverso la data, oggetto della miniserie è l’omicidio del presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy, evento tra i più dolorosi e misteriosi della storia statunitense. Il soggetto è tratto, appunto, dall’omonimo romanzo del 2011 di Stephen King, che all’uscita ebbe molti apprezzamenti da parte della critica letteraria a stelle e strisce. Ovviamente, come per ogni lavoro di King una trasposizione sul grande o piccolo schermo era abbastanza scontata, soprattutto se lo stesso autore produce e scrive il soggetto per l’adattamento. L’idea della trasposizione si fa ancora più seria quando J.J.Abrams e James Franco entrano nella produzione, e quando quest’ultimo diventa il protagonista della miniserie. Questa è composta da otto puntate e abbraccia l’intero romanzo di King, ed essendo stesso l’autore “capomastro” del prodotto, la miniserie non si discosta eccessivamente dal libro. In che genere rientra questo show? sicuramente è uno dei lavori più atipici di King, l’horror viene abbandonato per dare spazio ad un genere più maturo, talmente tanto che l’autore ha aspettato parecchi anni prima di scriverlo pur avendo avuto l’idea in gioventù. Essendo un romanzo più storico che altro, King ritenne che sarebbe stato necessario un grosso lavoro di ricerca per rendere al meglio la sua idea di base, e quindi aspettò tempi più maturi prima di intraprendere tale opera, che poi risulterà una delle più apprezzate dell’autore americano.
Perché opera storica? perché più che uno sci-fi, 22.11.63 è un omaggio agli Stati Uniti degli anni ’50/’60 analizzandone pregi e difetti. Il viaggio nel tempo attraverso la tana del bianconiglio che catapulta James Franco nel 1960 è sì un elemento importante, ma che spesso sembra solo un mezzo per raccontare quegli anni. Effettivamente, il successo del libro e pregio della miniserie è proprio la cura dei dettagli nel ricreare quel tempo, in cui viene omaggiato lo spirito ottimista dell’epoca, il coloratissimo mondo che ne scaturisce, ma al contempo si parla della paura profonda che la Guerra Fredda porta con sé, si condanna la tristissima pratica della segregazione razziale e si deride l’allucinante moralismo dell’epoca. Bisogna dire che oltre ad alcune interpretazioni, senza l’efficace ricostruzione degli anni cinquanta e sessanta, la serie perderebbe di mordente già dalle prime battute. Se vi aspettate teorie alternative sull’omicidio Kennedy, oppure film/inchiesta come quell’eccezionale capolavoro che è JFK di Oliver Stone, allora rimarrete delusi. Queste piste vengono abbandonate dopo sei puntate con mio grande rammarico e vira su tutt’altre strade nelle ultime due, lasciando l’amaro in bocca ma il cuore pieno di zucchero, certo non le sensazioni che mi aspettavo sia dall’argomento che da un lavoro di King.
Pregio della serie sul piano storico, oltre alla già citata ricostruzione delle ambientazioni, è il ritratto della vita e della personalità di Lee Harvey Oswald interpretato dallo sconosciuto attore australiano Daniel Webber. Questi offre la miglior interpretazione della serie, cogliendo nel segno il carattere del presunto assassino del presidente (che nella realtà verrà accusato, arrestato e poi ucciso a sua volta da un fanatico due giorni dopo l’assassinio di Kennedy). Il violento, colto, mitomane, comunista, disertore Oswald viene portato in vita magistralmente, donando scene intensissime allo spettatore come il delirio contro un ex generale texano profondamente reazionario, reo, secondo Oswald, di essere un “porco fascista”. L’ossessione per i fascisti, il suo intento di ammazzarli tutti, il suo soggiorno in URSS, la sua convinta fede marxista (“Hai mai letto Karl Marx? “No” “Prendi questo” “È interessante?” “Dice la verità”) fanno scaturire un personaggio poliedrico reso squilibrato dalla difficile infanzia. Proprio queste caratteristiche spesso antiamericane alimentano le teorie del complotto, facendo ipotizzare che Oswald probabilmente fosse solo uno strumento o un capro espiatorio per tutta la faccenda. È proprio da questo assunto che parte la ricerca di James Franco, che interpreta un professore di letteratura (Jake Epping/Jake Amberson) in piena crisi dopo il divorzio e coinvolto da un vecchio amico (Chris Cooper, Oscar al miglior attore non protagonista nel 2003 per Il ladro di orchidee) nell’avventura temporale. Franco dovrà appurare la tesi complottista prima di cercare di modificare il passato, e dovrà farlo osservando la vita di Oswald. L’intoppo per il viaggiatore del tempo è, però, che ogni qualvolta si tenta di cambiare il passato, questo si ribella in tutti i modi, ciò è racchiuso benissimo nella frase colorita: “se fai qualcosa per fottere il passato, il passato fotterà te”. Le cose si complicano sempre di più quando il professore si fa coinvolgere dalla ridente vita di quegli anni, prima facendo amicizia con Bill, interpretato dal bravissimo George McKay, vera e propria rivelazione grazie anche all’ottima performance in Captain Fantastic nel ruolo del primogenito di Viggo Mortensen, e poi innamorandosi di Sadie Dunhill, interpretata dall’attrice feticcio di Croneneberg, Sarah Gadon. La storia procede alternando ritmi serrati a puntate lente che hanno lo scopo di ritrarre quel tempo attraverso la bellissima colonna sonora composta da brani dell’epoca (Elvis, Sinatra, Etta James, Paul Evans, Beatles e tanti altri) e tantissimi omaggi alla pittura di Edward Hopper, con una fotografia ampiamente ispirata dai quadri del pittore americano, forse il più grande esponente artistico di quegli anni.
Per gli amanti dei lavori di King, inoltre, ci sono tantissimi easter eggs da scovare. Potrete trovare riferimenti a It, Under the Doom, Christine – La Macchina Infernale, Shining e tanti altri che non vi dirò perché altrimenti vi toglierei tutto il divertimento. Però, fatemi condividere una chicca con voi, che non è tratta dalle opere di King, ma calza comunque a pennello, dato lo spirito affine:
Talmente palese che si può anche evitare di commentarla.
In conclusione, 22.11.63 è una serie tutto sommato godibile pur perdendo di vista la complessità del caso Kennedy, probabilmente dovuta alla paura di cadere in scomode o esagerate conclusioni. Lo spettatore deve accettare il fatto che la serie parta con delle pretese che poi verranno in parte tradite, ma comunque giudicherà lo spettatore quanto possa essere importante questo fattore per la riuscita dello show. Pertanto, se intendete vedere 22.11.63 concentratevi sulle interpretazioni e sulla ricostruzione degli anni sessanta. Ora, a voi l’ardua sentenza.
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