New York: Josh (Ben Stiller) e Cornelia (Naomi Watts) sono una coppia di quarantenni benestanti e senza figli, lui insegnante serale di cinema per la terza età e regista di documentari senza grande talento, lei capace produttrice cinematografica e figlia del cineasta-mito del marito. Un giorno i due realizzano di essere invecchiati.
Lo fanno prima negli occhi della figlia appena nata dei loro amici, che sembrano ora vivere in un universo fatto solo di poppate e felici sacrifici; poi nell’incontro con i giovani sposini Jamie (Adam Driver) e Darbie (Amanda Seyfried), un aspirante regista che segue le lezioni di Josh e una gelataia per passione più che per lucro. L’incontro delle due coppie darà vita a un percorso di crescita e accettazione che cambierà le prospettive di chi pensava ormai di essere arrivato alla maturità.
Presentato al Toronto International Film Festival nel settembre 2014 e successivamente al New York Film Festival, While we’re young (Giovani si Diventa) di Noah Baumbach (Francesc Ha, 2012) è un film onesto e umano e, come il genere al centro della vicenda, è un documentario su ciò che siamo diventati in quest’epoca dove tutto scorre, anche l’innocenza.
Perché quel che il film vuole mostrarci è come niente venga al mondo oggi restando puro e ingenuo.
È il caso dell’ambizioso poser Jamie, che per ottenere il successo mette in discussione i valori “etici” del suo lavoro e forza la mano per rendere la sua storia più avvincente. E al termine della vicenda, davanti all’indignazione del sempre onesto Josh, il mondo chiede: “E allora?”
Non è grave, è giusto mettere da parte certe idee per ottenere grandi risultati. Non è neanche più la filosofia de “il fine giustifica i mezzi” perché non ci sono mezzi da giustificare veramente; tutto è ormai permesso e l’asse di riferimento del giusto e dello sbagliato è molto più flessibile.
While we’re young dipinge l’incontro di due mondi diversi e che pure convivono quotidianamente nella realtà delle generazioni presenti.
Da un lato è il mondo di Jamie e Darby, degli under 30, degli hipsters con i jeans stretti e i cappelli larghi, dei vinili e dei vhs accanto all’iphone. È la generazione che “ruba” una certa parte di cultura dalla precedente e della quale ha solo sentito parlare, ma che pure cita continuamente, ovunque, ostentatamente, senza approfondire, per il solo gusto di appropriarsene e avere qualcosa, perché tanto, “tutto è scaricabile”.
L’altra generazione è incarnata da Josh e Cornelia, un binomio in cui lui continua a mettere in stand-by i suoi sogni e lei finge di rinnegare i propri, entrambi per eludere il tempo, non accettando che i 40 anni sono arrivati e sono anche passati e gli occhiali necessari non sono più quelli da sole.
Stretti e a disagio tra coetanei e corsi di musica per neonati, Josh e Cornelia si ritroveranno a guardare con invidia la spontaneità e l’energia di una coppia più giovane. Cercando di riprendersi quei sentimenti giovanili di spensieratezza e libertà di espressione e pensiero, realizzeranno poi di star vivendo con loro una giovinezza diversa e che Jamie e Darby non sono i giovani che erano loro vent’anni prima. Perché i giovani non sono solo sogni e belle speranze, ma sempre di più tenacia, astuzia, voglia di riuscire a prendere il passaggio giusto sull’autostrada della vita.
E allora proprio chi come il quarantaquattrenne Josh, dalle lezioni della vita dovrebbe esserne segnato e rivelare una certa arguzia, si rivela invece l’uomo dei valori antichi, che dà ancora peso alle cose e alle persone e ad un lavoro, come quello documentaristico, che permette di porre gli altri al centro dell’attenzione, piuttosto che se stessi.
Josh tenta di smascherare quella che solo ai suoi occhi “puri” risulterà una truffa, segnando il definitivo distacco dal mondo della giovinezza, sia da quella rappresentata da Jamie, che dalla propria: accetterà dunque di essere un uomo di 44 anni e non un ragazzo nel mondo dei grandi e metterà da parte le sue paure facendo posto all’accettazione del fallimento artistico per andare avanti, così come farà anche Cornelia.
Mantenendo un tono sempre leggero e calibrato al cast e alla vicenda narrata, il regista ci mostra quanto quest’epoca fatta di comunicazione e tecnologia, dove tutto è “googlabile”, ma dove i venticinquenni sanno poco e niente della guerra in Afghanistan, sia, nel bene e nel male, la realtà.
“E allora?” sembra dire il film; “ma c’è ancora speranza, perché non tutti sono così giovani” pare suggerire Baumbach.
Giovani si diventa è una trascrizione del titolo originale per una volta molto azzeccata da parte della traduzione italianana, perché pare cogliere come l’accezione di giovani sia cambiata e di come “giovani oggi” sia un processo dettato dall’esterno, più che dalla naturale crescita.
Sebbene chiaramente critico, l’idea di una generazione non del tutto innocente e candida, non è condannata in toto, anzi accettata per quel che è: attuale, giovane, ma non per questo cattiva.
La scena finale del bambino che più che giocare pare usare lo smartphone con dimestichezza, racchiude in sé l’intento del film di mostrare come davvero la nostra cultura di massa sia ormai radicata in noi e di come essa, nel rendere tutto facile e vicino, abbia ridotto tutto ad essere facile eppure lontano.