Matthew King, The Descendants (George Clooney, 2011)
Vivere alle Hawaii, discendere dalla famiglia del re Kamehameha I ed essere protettore di una ricchezza sconfinata non ti rende immune alla vita. La moglie di Matthew è in coma irreversibile e degenerativo dopo un incidente in barca, per volere della stessa donna i medici saranno costretti a staccare la spina nel giro di pochi giorni. Matthew dovrà dare la triste notizia alle due figlie, ma il rapporto non profondissimo con le due renderà il tutto ancora più difficile. Scottie, la più piccola, ha problemi di disciplina generati dall’instabile condizione famigliare, Alexandra (Shailene Woodley), la più grande, è stata spedita in collegio a ritrovare la retta via.
Come se non bastasse, nel giro di pochi giorni Matthew dovrà decidere le sorti di un immenso appezzamento di terra da secoli di proprietà della sua famiglia e accontentare un nugolo di cugini assettati di soldi che non gli danno pace. La terza declinazione dello small man messa in scena da Payne fa leva su aspetti sottili della personalità umana, in particolare il rapporto con le responsabilità e la leadership.
Matthew è persona di solidi principi che ama la moglie e le figlie, le uniche sue colpe sono una mancanza di entusiasmo che stride di fronte all’eccesso di razionalità finendo per farlo sembrare distaccato agli occhi di amici e parenti. Ma le prove che la vita gli mette di fronte faranno emergere grande umanità e coraggio, il tutto riassunto nel momento in cui avrà di fronte l’amante della moglie (Matthew Lillard). Invece che aggredirlo, Matthew lo affronta da uomo e, dopo avergli detto il fatto suo in maniera decisa ma composta, ha la dignità di invitarlo a dare l’ultimo saluto alla donna prima che si spenga. Nonostante ogni singolo personaggio indossi sandali e camicia a fiori, le Hawaii di The Descendants sovvertono ogni clichè rivelandosi un luogo come tutti gli altri, per stessa ammissione di Matthew anche alle Hawaii ci si ammala, si litiga e si cerca di circuire il prossimo. Altra statuetta per la sceneggiatura (adattata) che da’ ulteriore conferma dell’assoluto talento di Payne nello story telling.