La vastità del catalogo Netflix non sempre guarda in faccia alla qualità. Soprattutto se consideriamo uno dei generi più discussi da sempre: l’horror. Tuttavia, girovagando tra i migliaia di titoli, ne spunta uno particolarmente lungo e quasi paradossale per un film horror: “Sono la bella creatura che vive in questa casa“, diretto da Oz Perkins, figlio d’arte di Anthony Perkins la cui la fama lo precede (il Norman Bates di Psycho per i più distratti).
Alla sua seconda fatica cinematografica, Perkins ci racconta la storia dell’infermiera Lily, una timorata e suscettibile Ruth Wilson, che deve badare ad Iris Blum, una celebre scrittrice di romanzi horror divorata dalla demenza senile. Nemmeno il tempo di conoscersi che l’anziana scrittirice confonde l’infermiera con Polly, la protagonista del suo più famoso romanzo “La ragazza nel muro“. Dalla prefazione del libro scopriamo come questa sia una storia vera che narra la vicenda di questa ragazza uccisa dal marito e nascosta nelle intercapedini di un muro, sulla cui parete si sta sviluppando una macchia di muffa. Di pari passo, alcuni rumori iniziano ad essere sempre più persistenti.
Il cinema di genere orririfico, ormai, si sta dividendo in due filoni ben precisi e delineati. Uno più mainstream e generalista, con James Wan come principale promotore ed un altro più di nicchia, d’atmosfera, che strizza l’occhio al gotico, che non si limita a spaventare per una frazione di secondo quanto più ad inquietare per tutta la durata del film. I due cult “It Follows” e “The VVitch” appartengono proprio a questo secondo filone, al quale si aggiunge senz’altro “Sono la bella creatura che vive in questa casa“. Proprio il gotico caratterizza questo film in cui è molto chiara la citazione al maestro Edgar Allan Poe ed al suo racconto “Il gatto nero“, uno dei suoi più famosi ripreso al cinema da maestri come Fulci e Romero. Ed ovviamente, l’atmosfera che si crea è fondamentale per una corretta riuscita. Strizzando l’occhio a “The Others” ed a tutti gli altri film che parlano di case infestate, questa piccola perla riesce ad andare ben oltre gli stereotipi e ci porta dentro quattro mura che opprimono e che si mostrano come estranee a tutti i personaggi del film. La retorica dell’invasione dello spazio privato viene accantonata in favore di una riflessione ben precisa sulla vita e sulla morte, come lo dimostrano i continui monologhi fuori campo dei (pochi) personaggi del film.
Perkins dirige questo horror di pura atmosfera gestendo i tempi perfettamente e con uno stile asciutto, senza mai essere invadente con la telecamera. Il che diventa necessariamente una virtù considerando che stiamo parlando di un film di interni. L’inizio del film sembra quasi essere una pièce teatrale con il sipario che si apre ed una voce fuoricampo che ci introduce al film ed alla rottura della quarta parete. Gli sguardi iniziali della Wilson già ci fanno capire che questo film non è come tutti gli altri. Le inquadrature fisse sembrano essere quadri di Hopper, dove il perturbante domina in ogni pixel e la pulsione vouyeristica dello spettatore viene sollecitata continuamente e mai del tutto soddisfatta. Il tutto condito da una fotografia che che alterna sapientemente le luci e le ombre e che mischia il chiaro scuro, creando un’ambientazione suggestiva di rara bellezza.
Netflix ci regala un vero horror d’autore gotico, potente come solo in pochi sanno fare. L’inquietudine domina la scena e predomina su ogni cosa, senza mai risultare stucchevole. Chi si aspetta sangue e jump-scare fini a sé stessi, rimarrà deluso. “Sono la bella creatura che vive in questa casa” appartiene ad altro, ad un qualcosa di molto più aulico e può essere il film che dà linfa vitale al genere horror e magari Netflix potrà dare risalto a validi registi che sanno costruire un horror d’autore, degno di questa categoria.