The Leftovers: alle porte della conclusione [SPOILER]

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The Leftovers-svaniti nel nulla non è una serie mainstream e non pretende neppure di esserlo. Da quando ha esordito nel 2014 non ha mai avuto picchi d’ascolto che facessero gridare al fenomeno mediatico, ma ha accolto attorno a sé solo gli spettatori predisposti, i critici, i fan del romanzo da cui è tratto e gli “animali” da zapping. Adoriamo questo show e ci siamo chiesti, spesso, il perché di tali difficoltà legate all’audience, la risposta che ci siamo dati è che The Leftovers non è una serie per tutti, poiché è una serie atipica. Mentre altri show drammatici bilanciano la carica tragica con vari sottogeneri —come ad esempio Breaking Bad alleggerisce il tono con le sue tinte pulp, con la sua azione da film gangster— The Leftovers è completamente al servizio del dramma, della tragedia. Il tono fantastico e misterioso è solo un pretesto per presentare in tutta la sua grandezza la difficoltà dell’esistenza umana. La sparizione del due percento della popolazione mondiale per cause sconosciute è un semplice specchio per le allodole, il vero centro della vicenda sono le vite di chi è rimasto, di chi ha perso qualcosa d’importante.

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Non a caso la prima stagione che rappresenta l’intero romanzo Svaniti nel nulla di Tom Perrotta inizia tre anni dopo la misteriosa sparizione, concentrandosi su un sentimento specifico: la rabbia. L’ira è la seconda fase del famoso modello a cinque fasi dell’elaborazione del lutto e forse quella che può provocare più problemi al soggetto che soffre. Concentrandosi su questo sentimento, la prima stagione fa intendere superata la prima fase, ovvero quella della negazione, cercando di far capire allo spettatore che la sofferenza è già avviata da un po’ e che non si può tornare a fasi precedenti ma solo andare avanti. Difatti, insieme alla rabbia vengono rappresentate dalla serie attraverso i suoi vari personaggi anche le due fasi successive, ossia quella del patteggiamento e della depressione. Da tale quadro emerge che la prima stagione intende “investire” lo spettatore con i sentimenti più duri del percorso di elaborazione di un lutto, e tutto è poi aggravato da un altro sentimento onnipresente nella serie, vale a dire l’incertezza. Il pretesto fantastico serve soprattutto a questo, cioè a condire le normali reazioni alla tragedia con uno stato di confusione, d’incertezza appunto. Il non sapere cosa sia successo non può fare altro che amplificare le emozioni dei personaggi, ponendo in essere una vera e propria tragedia ma allargandone gli aspetti distruttivi grazie all’accentuazione dell’impotenza e della inconsapevolezza.

The leftovers

La situazione che si crea nella piccola città di Mapleton (vittima di un centinaio di sparizioni) è così intrisa da queste dinamiche che la presenza del gruppo chiamato i Colpevoli Sopravvissuti è necessaria per creare un’altra posizione che si contrapponga alle altre sofferenze diciamo più tipiche. Tale gruppo di persone unite da un profondo cameratismo, che s’impongono di non parlare e di comunicare scrivendo, che vestono solo di bianco, che fumano sigarette una dietro l’altra, reagiscono al dolore concentrandosi su di esso, ma attenzione non accettandolo (ultima fase dell’elaborazione) ma usandolo per una continua autoflagellazione che li induca a non dimenticare, costringendo, con atti anche violenti, i cittadini di Mapleton (e non solo) a non andare avanti con la propria vita, esortandoli a unirsi a loro. Il ruolo di questi “fanatici” approfondisce ancora di più la condizione umana dopo una grave perdita, nel senso che spinge lo spettatore a chiedersi quale sia la strada giusta per rendere onore ad una perdita, ossia: andare avanti e onorandola vivendo la vita che la persona cara non ha potuto vivere, oppure catalizzandosi sul dolore che la perdita ha causato e “cristallizzarsi” sul momento della sofferenza senza evolvere? Il dubbio che sorge da queste domande è grande e pone lo spettatore in una situazione difficile, portandolo, a volte, a simpatizzare per questi radicali del dolore, e molto più spesso a non capire da che parte stare, e questa sensazione disorienta il pubblico non potendo trovare in nessuno dei personaggi un fulcro morale in cui identificarsi. Non esistono i buoni e i cattivi, non esistono i fragili e i forti, esistono solo persone che soffrono perché hanno perso qualcosa, e solo in questo lo spettatore può identificarsi, nella perdita, non nei personaggi ma in una sensazione, poiché tutti abbiamo perso qualcuno o qualcosa. Neppure seguendo lo sceriffo Kevin Garney, interpretato dal bravo Justin Theroux, possiamo dirci sicuri di quello che stiamo vedendo. Pur essendo il protagonista,  seguendo il suo punto di vista ci perdiamo progressivamente insieme a lui attraverso le sue visioni e i suoi sogni troppo vividi per essere tali, tanto da perderlo quasi completamente nel corso delle due stagioni e confermando in questo modo che The Leftovers non è raccontato attraverso gli occhi del suo personaggio principale ma è una storia corale. La mancata comprensione per l’azioni dello sceriffo ci porta a ricercare chiarimenti attraverso altri personaggi, facendoci capire che al centro del “palco” non esistono protagonisti ma comprimari, e a volte ci aggrappiamo ai pensieri e le azioni di uno e a volte di un’altro senza trovare punti di riferimento, con la netta sensazione di stare al centro di numerose vite che hanno l’esigenza di raccontare la propria storia. Proprio l’interpretazione corale è uno dei punti di forza di questo show, le performances di  Amy Brenneman (Laurie Garvey), Christopher Eccleston (il Reverendo Matt), Liv Tayler (Meg Abbott), Carrie Coon (Nora Durst), Ann Dowd (Patti Levin), Scott Glenn (Kevin Garney sr.), Margaret Qualley (Jill Garvey), Chris Zylka (Tom Garvey) sono potenti e hanno una carica drammatica eccezionale valorizzata da dialoghi quasi mai scontati.

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Il climax di sofferenza all’interno della prima stagione diventa frenetico grazie all’implosione della rabbia di tutti questi personaggi, fino a che l’implosione si evolve in una vera e propria esplosione che investe tutto il contesto lasciando cenere e stanchezza. La fine dei tumulti è rappresentato benissimo in una delle scene di chiusura della prima stagione che cita la poesia Invita l’amata a stare tranquilla di William B. Yeats che con le sue parole fa trarre un respiro profondo e tranquillizza le anime tormentate dal dolore: “Amore, restino socchiusi i tuoi occhi, e batta il tuo cuore sul mio cuore, e la tua chioma cada sul mio petto, E il tempo solitario dell’amore anneghi nel profondo crepuscolo del sonno, Celando le loro criniere agitate e i loro zoccoli in tumulto“. Terminata la scalata dell’ira si ritorna al silenzio, forse vero protagonista della serie, poiché The Leftovers è fatto di silenzio, quasi come se fosse il mezzo per raccogliere i pensieri e radunare energie. Il silenzio forse è il mezzo più potente della serie per esprimersi, è la caratteristica primaria dello show, si parla solo quando si deve.

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La prima stagione, quindi, dopo le numerose vicissitudini si conclude con una scintilla di speranza. Questa scintilla viene rappresentata attraverso un bambino, sia perché la rinascita è un topos importante, sia perché la nascita ha un ruolo fondamentale nella trama della serie.

Questo germoglio di speranza troverà pieno dispiego nella seconda stagione in cui la serie, almeno apparentemente cambia registro, a cominciare dall’opening.

Protagonisti di questo secondo atto sono la voglia di ricominciare e il rumore, tutto rappresentato dalla piccola cittadina di Miracle, battezzata in questo modo perché non ha registrato sul suo suolo nessuna sparizione misteriosa, ed ora è meta di molti americani decisi a cominciare una nuova vita. Tra queste persone ritroviamo anche lo sceriffo e la sua nuova famiglia che una volta ottenuta la casa tanto sognata si apprestano a ricostruire tutto ciò che era andato in fumo. I loro vicini di casa introducono altri ottimi interpreti  come Regina King (Erika Murphy) e Kevin Carroll (John Murphy). Tutto sembra procedere per il meglio fino alla sparizione della figlia dei Murphy, che farà ricominciare il ciclo delle cinque fasi e una nuova escalation di violenza e tensioni. Pur ricalcando la prima stagione, la seconda offre nuovi spunti poiché semplicemente offre nuovi personaggi e quindi nuovi modi di affrontare la misteriosa situazione. Lo sviluppo della stagione, però, aprirà vie differenti rispetto alla precedente, anzi si riallaccerà al sentimento finale di questa, ovvero la speranza. Finalmente sembra che quest’ultima stia prendendo forma nei cuori dei personaggi, ma nulla è scontato e anche un piccolo turbamento (come i frequenti terremoti) possono far crollare il castello.

A questo punto è proprio ora che viene da chiedersi dove ci porterà The Leftovers. Ciò è la cosa che ci preoccupa di più, poiché la serie ha la possibilità di diventare un capolavoro di arte drammatica oppure un prodotto bello ma rovinato da un finale insoddisfacente, dato che la terza stagione sarà l’ultima. Inoltre la pressione sulle spalle del creatore Damon Lindelof è enorme data la pioggia di critiche che lo investì per il discusso finale di Lost. Per di più la decisione presa dagli autori di basare la seconda e terza stagione su materiale originale non basato sul romanzo, concluso, come detto, nella prima, dovrà garantire intelligenza e originalità, pena la completa distruzione di un lavoro eccezionale. Difatti molti fan hanno ritenuto già soddisfacente la chiusura della seconda stagione e si sarebbero accontentati se fosse stata anche la fine della serie, ma Damon Lindelof ha dichiarato di non volersi ancora separare dall’amato mondo di The Leftovers e di aver ancora qualcosa da dire su questa storia.

In conclusione, cosa aspettarci? un approdo finalmente all’ultima fase dell’elaborazione del lutto ovvero l’accettazione, oppure uno sviluppo del tema fantastico che avvolge la serie e che fin ora è stato solo un pretesto? difficile dirlo data l’imprevedibilità di Damon Lindelof. Però abbiamo una speranza che s’incarna in Tom Perrotta, autore del romanzo e coautore della serie, che senza ombra di dubbio vorrà coronare il suo lavoro donandogli un finale degno della sua fatica. Non ci resta che aspettare la primavera e intanto goderci la meravigliosa colonna sonora di Max Richter che più delle interpretazioni, della fotografia e della storia rappresenta al meglio questa complessa e meravigliosa serie di HBO.