Come ogni anno, a Febbraio, il pubblico cinefilo si scatena sui social, scandalizzandosi per i film scelti nelle nomination (cosa che sto per fare anche io, tra l’altro). Ci dimentichiamo ogni volta (perché ci piace dimenticarcene) che gli Oscar sono premi spesso più politici o di tornaconto, che veramente legati al merito e alla qualità dei vari film. Per questo motivo, anche se hanno pur loro molti difetti, preferisco i tre festival europei (Venezia, Cannes e Berlino) e il Sundance Film Festival, più in linea con i gusti cinefili e più meritocratici nella distribuzione dei premi, oltre che più abili nell’individuare idee cinematografiche che guardano al futuro e nuove tendenze. Dopo la vittoria di Donald Trump e le polemiche dello scorso anno di alcune associazioni per i diritti degli afroamericani, gli Oscar cadono ancora più in basso, nominando film sociali dal dubbio valore qualitativo, incaponendosi sempre sui soliti nomi (ehm ehm Meryl Streep!) e negando un posto a chi veramente lo avrebbe meritato.
Quest’anno, più delle scorse edizioni, anche io ho avuto delle perplessità sulle nomination. Per questo, ho deciso di fare una lista dei 10 film che avrebbero meritato almeno la nomination tra i premi maggiori (miglior film e miglior regia) e di 5 che avrebbero meritato la candidatura come miglior film straniero e nei documentari. Nonostante le mie titubanze, sicuramente alcuni film scelti sono ottimi:La La Landdi Damien Chazelle (le 14 nomination sono eccessive, ma sicuramente è tra i migliori) e La Battaglia Di Hacksaw Ridge (un Gibson coraggiosissimo).
Miglior film e miglior regia – gli esclusi (in ordine casuale)
Jackie di Pablo Larraín
Probabilmente il miglior film dell’anno. Larraín, tra i registi più promettenti in circolazione (Neruda, El Club, Post Mortem), non fallisce la prima trasferta, anzi, il film mantiene tutte le caratteristiche del cinema dell’autore cileno, non scendendo a compromessi. Con un rigore formale incredibile, il film ti avvolge completamente e ti trasporta nell’atmosfera di inizio anni ’60, anche grazie alle tecniche di ripresa. Un film che ti tocca il cuore. Strutturalmente si avvicina alla perfezione (perfetto il formato in 5:3). La Portman è incredibile, se la giocherà ad armi pari con la Huppert e la Stone. L’Oscar per il miglior film doveva essere suo.
The Neon Demon di Nicolas Winding Refn
Film che ha letteralmente spaccato a metà la critica, chi lo elogia e chi lo crede una grande “supercazzola” allo spettatore. Io sono tra i primi. Refn radicalizza il suo stile (in particolare quello di Solo Dio Perdona), portandolo alle estreme conseguenze. Lo spettatore, lasciandosi andare al libero flusso delle immagini, non può non rimanerne rapito. Psichedelia e new wave si intrecciano in un’atmosfera da incubo, fino a confondersi in una metafora sull’arrivismo radicalmente presente in chi insidia certi ambienti dello show business. Almeno le nominations per miglior regia, colonna sonora e fotografia erano dovute.
Non delude neanche la trasferta di uno dei paladini della New Wave greca, Yorgos Lanthimos, già apprezzato con Kynodontas e Alpeis. Un film distopico sui rapporti umani e sull’apatia che sta affliggendo la società occidentale. Una critica all’omologazione relazionale e all’eccesso di rigidità di regole e leggi. Satira efficace e pungentissima. Nonostante la freddezza del regista, il film riesce anche ad emozionare. Una grande conferma. Lo attendiamo al varco con The Killing Of A Sacred Deer, suo prossimo lavoro. Bizzarramente in gara solo per la miglior sceneggiatura.
I Daniel Blake di Ken Loach
Film sociale alla Ken Loach, vincitore della Palma d’Oro per il miglior film al Festival di Cannes del 2016. Celebrazione di chi combatte tutti i giorni e non si fa piegare dalla burocrazia imperante. Nonostante la retorica, non si può non rimanere coinvolti e non affezionarsi al protagonista. Critica spietata ad alcune istituzioni inglesi.
Eisenstein In Messico di Peter Greenaway
Forse il film più particolare dell’anno. Greenaway continua a sperimentare e a portare il cinema su territori raramente percorsi. Il regista romanza la vita di Ejzenstein, portando sullo schermo una visione personalissima delle vicissitudini accadute al grande cineasta russo a Guanajuato in Messico, durante la lavorazione di Que Viva Mexico. Gli amanti dei biopic classici rimarranno delusi, mentre chi è alla ricerca di qualcosa fuori dall’ordinario, sarà soddisfatto. Doverose sarebbero state le candidature per la miglior fotografia e il miglior montaggio.