Nascita, vita, miracoli della catena di fastfood più famosa al mondo? No. Non solo.
The Founder non è solo questo. Non è la semplice storia del McDonald da drive-in per famiglie a San Bernardino, CA, USA fino a impero miliardario sparso in tutto il globo.
The Founder è, innanzitutto, la storia di un uomo.
Un uomo che, superati i 50 anni, con un comodo tetto sulla testa, un’attività altalenante a garantirgli uno stipendio e una buona moglie al suo fianco, ha deciso di non fermarsi e non arrendersi definitivamente alla vita. Perché accontentarsi quando si può fare di più?
Un determinato, instancabile, inaffondabile sognatore: ecco chi è Ray Kroc all’inizio della pellicola. Interpretato da uno smagliante Michael Keaton, il protagonista si presenta subito come un uomo d’affari, guardando lo spettatore dritto negli occhi e con gli occhi dicendogli un chiaro: “Ehi, tu. Ascoltami e credi in me. Segui la mia storia. Non te ne pentirai.”
E così ci catapultiamo fra le fatiche di Ray Kroc, che, in cerca di un’opportunità , dopo tanto vagare e pochi minuti finalmente trova la (sua) invenzione dalle uova d’oro, sperduta nel deserto della California. Un metodo di efficienza. Una impresa. Un ristorante.
Ma non solo. Ciò che Ray vede tra la sabbia è qualcosa di più. Ed è un simbolo.
E proprio questo fa la sua fortuna: trasformare un’idea in concetto…a portata di tutti.
Delle varie sfumature e conclusioni della trama c’è ben poco da dire, quel che la Storia ci ha narrato non possiamo cambiarlo. Ciò che il film rivela, dietro le varie vicende, è però altro.
Ed è la profonda trasformazione di un uomo: un uomo come tutti noi, tanto legato ad un destino ingiusto, che non riesce a dimostrare al mondo le sue grandi risorse.
Un uomo che si sente, come velatamente e magistralmente suggerisce la pellicola,
alla pari di un Terry Malloy sul fronte del porto: potrebbe diventare un campione, potrebbe essere qualcuno!, invece di quel niente che di fatto è.
Pertanto, quando la tanto agognata idea si palesa al protagonista ed egli incomincia ad essere parte attiva di essa, ecco che l’ambizione si trasforma in qualcos’altro, mutando Ray con se stessa. Diventa avidità , riscatto, potere e di nuovo ambizione – questa volta spogliata però di qualsivoglia obiettivo. Diventa un uomo d’affari investitosi miliardario, che guarda lo spettatore dritto negli occhi e con gli occhi dicendogli un chiaro:
“Ehi tu. Mi hai ascoltato? Hai visto quanta strada ho fatto? Tutta farina del mio sacco.
Io non me sono pentito…Quasi mai almeno.”
E Michael Keaton riesce a rendere questa lieve sfumatura, il passaggio indefinito da temerario senza speranze a squalo senza pietà , in modo sublime.
La sceneggiatura, dinamica, mai noiosa, divertente, coinvolgente, (firmata da Robert D. Siegel e non a caso piazzatasi al tredicesimo posto delle miglior sceneggiature non prodotte del 2014 nella classifica stilata dal sito deadline.com), sembra scritta apposta per lui. E ad aiutare questo contrasto ci sono i costumi e la scenografia, che marcano la profonda differenza tra il rinnovo costante di Kroc e l’immutabile stile anni ’50 dei fratelli McDonald.
Il film però non è privo di difetti, e non a caso si regge proprio sulle belle spalle della trama e su quelle ancora più solide del protagonista: a partire dai personaggi secondari, il cui contributo è – salvo due eccezioni- decisamente poco rilevante, passando per una fotografia che, pur essendo tecnicamente perfetta e sempre accordata al continuo e diverso dinamismo del protagonista, risulta tuttavia poco originale, fino alle musiche, che purtroppo stonano spesso con il mood della scena.
Cosa rimane di questo film? Molti pensieri, molte domande, qualche curiosità . Sentimenti contrastanti, e il bisogno di fare almeno un applauso a Keaton.
E, ovviamente, una voglia smisurata di mangiare un panino. Ve lo assicuro.
Da vedere.