David Lynch: The Art Life – Recensione in anteprima

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“Sapevo che i miei quadri facevano schifo, ma avevo bisogno di consumarmi, di capire. E l’unico modo era dipingere, dipingere, dipingere per riuscire a catturare qualcosa.”

Un Lynch inedito quello di The Art Life, un pre-Lynch che racconta se stesso e si lascia raccontare senza mai perdere il pieno controllo dell’immagine di sé. Avvolto da nuvole di fumo e circondato dalle iconiche tazze di caffè, il regista di Missoula ripercorre la propria storia in 90 minuti di documentario non dialogico, autoritratto delle molteplici vite vissute, in voce over.

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Le immagini-ricordo dell’infanzia sono ricostruite per cenni, attraverso cimeli e progetti, abbozzi filmati in corso d’opera nel suo studio nei pressi di Hollywood. Un mondo schiuso alla regia altrui (Jon Nguyen, Rick Barnes, Olivia Neergaard-Holm) con il preciso intento di ripercorrere se stesso e autocelebrarsi, fra tele, paste di colori, colle, pennelli e la grande scrivania dove, a un portatile Mac, si accosta pacificamente una miniatura del Giardino delle Delizie di Bosch. Frese e spatole che agiscono sulla tela come Lynch agisce sulla fantasia, riproducendola. Grumi, colature e poi una scritta in fili di metallo dipinto: “Le cose che ho imparato a scuola”. Modellata parola per parola nel corso del documentario, proprio questa scritta sembra riassumere un modello di artista sui generis, tanto antiaccademico quanto poco incline al maledettismo a buon mercato. Perché David Lynch prima di tutto impara, si costruisce come artista, lavorando instancabilmente nello studio del pittore Bushnell Keeler.

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Convenzionalmente ribelle in un clima come quello dell’America postbellica, il giovane David cresce in una famiglia affatto comune, autenticamente aperta eppure esente da mode culturali e pose bohémien di sorta. Madre antirazzista e religiosamente non integralista, padre aperto al dialogo e indifferente all’arrivismo sociale di quegli anni, lo sostengono fin da piccolo e lo osservano fino al limite della miseria che minaccia, dietro ogni angolo, tutti gli aspiranti artisti. Anche quando non sembrano capire fino in fondo i suoi esprimenti con piccoli topi, insetti e frutta in decomposizione, non ostacolano mai il suo giocare cupo e la sua dipendenza creativa, eternamente naif.

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“Se si apre in due un insetto si scoprono superfici incredibili.”

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Aneddoti, e non immagini riprodotte, tracciano in The Art Life, il percorso lungo la creazione dell’archivio di segni lynchano: se la donna nuda e sconvolta diventa Isabella Rossellini in Velluto blu, la trasposizione avviene dal punto di vista infantile, dalle mai dimenticate sensazioni del momento. Allo stesso modo, le strisce dell’autostrada che il giovane David vede rallentate e disciolte quando, per la prima volta, assume marijuana, torneranno di continuo nei suoi film, dove ogni highway è lost, perduta, evanescente. Il momento pare, infatti, la condizione necessaria per la vitalità del creatore di immagini-movimento; uno stretto rapporto con il mondo, con la vita.

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Se l’incontro con Keeler e il libro The Art Spirit di Robert Henri sono decisivi per il percorso artistico che trasformerà il pittore di Missoula nel regista di Hollywood, il punto di svolta è, di certo, la scelta di tornare a imparare, all’Accademia d’arte di Philadelphia.

“Era elettrizzante vivere la vita dell’arte, a Philadelphia.”

Forza allucinatoria o potere immaginativo, in uno dei cubicoli dell’Accademia, un dipinto del giovane David completa quasi spontaneamente la propria dimensionalità in quella di immagine-movimento e immagine-tempo. Si anima o meglio esige di essere animato.

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“E dal dipinto avvertii come una brezza, la vegetazione iniziò a muoversi e pensai: ecco, un dipinto in movimento.”

Dalle verdi linee oscillanti il pittore diventa regista, la creazione artistica si espande, naturalmente. È La Vita dell’Arte.

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Il movimento fantastico di questa tela dà vita, così, al suo primo cortometraggio, Six Figures Getting Sick, al quale segue l’incarico di realizzare un’altra opera video. Questa seconda opera si rivelerà insieme un totale fallimento e la più grande occasione per il giovane Lynch.

“L’accidente e la distruzione, possono portare a qualcosa di buono. L’eccesso di controllo, la mancanza di apertura sono tutte cose limitanti. A volte bisogna sbagliare e fare un gran casino per trovare quello che si cerca.”

Al secondo tentativo realizzerà infatti The Alphabet, una delle più inquietanti e perfette opere lynchane, frutto del thrill della vita d’arte a Philadelphia, ma anche del thrill di paura, alla base del suo cinema futuro.

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Ciò che emerge da The Art Life è dunque il viaggio da un’arte all’altra, tentativo di definizione e bilancio dell’immagine di sé, in un rapporto tra dentro e fuori. Continui impulsi e rinvii, dal buio della mente, alla luce impressa sulla pellicola cinematografica e poi codificata nei pixel.

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Un percorso descritto attraverso la scatola dei ricordi, ma significativamente alternato ai ritratti in movimento del regista stesso nel suo studio, ai dipinti delle figure-fumetto che gridano o sussurrano pensieri del momento. Immagini-rilievo, art brut non tanto onirica quanto fantastica. Se il sogno c’è, è ad occhi aperti, è il tracciato di immagini accumulate in stadi emotivi differenti e, a quel determinato stato, inscindibilmente legate. L’impulso elettrico (thrill, appunto) supera il sogno.

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Al di là degli echi di Bosch o Bacon, quella di Lynch è un’originalità innegabile e tuttavia da lui rivendicata , in questo brano di cinema-racconto. Se il suo amato Fellini detestava essere diventato aggettivo, Lynch pare essere in prima persona creatura lynchana, dove lynchano sta per tenendente alla deformazione, al flash, all’evoluzione continua e all’interdisciplinarità. Ma soprattutto lynchano è potenziale immaginativo libero dai confini di genere, come dai contorni dei libri da colorare.

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Libertà immaginativa e purezza naif che sembrano destinate a non esaurirsi mai, indelebili nel ritratto-documentario di un padre settantenne che tiene sulle ginocchia la figlioletta Lula, mentre giocano insieme con la stessa plastilina che il regista di Hollywood userà per le creature da incollare sulle sue tele dipinte.

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Trovate tutti i dettagli sulle proiezioni qui: https://www.facebook.com/events/1171752239544637/

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